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Il VenerdÌ Di Repubblica

Carlo Petrini ... Il nostro futuro si alimenta con i Granai della Memoria... Lo scrittore e gastronomo, paladino del cibo sostenibile, parla dell’incontro annuale di cui è ideatore. E del nuovo progetto in difesa di natura e culture: archiviare i buoni saperi. Con videocamere ad alta definizione... Torino. Terra e Madre. Due parole belle. Due principi. Fra terra e madre, in mezzo e dentro, ci sta tutto. Anche lui, naturalmente. Che ha unito la parola Terra e la parola Madre e si è inventato la rete delle comunità del cibo: lavorando per la loro dignità, dà futuro a tutti. Carlo Petrini (ma per tutti è Carlin), l’uomo di Bra (in provincia di Cuneo) che parla al mondo, l’uomo di Slow Food, di Terra Madre e del Salone del Gusto. L’uomo del buono, pulito e giusto, che aiuta a non farsi mangiare dal cibo, non ha bisogno di domande. Ha lui gli argomenti. Si siede a tavola, ordina una bottiglia di Freisa, un piatto di peperoni con ripieno di tonno e acciughe e attacca: “In queste due parole, terra e madre, da un punto di vista simbolico e antropologico, ci siamo tutti. Dal punto di vista politico, poi, sarà fondamentale tornare alla terra e riconciliarci con lei. Perché le forme di violenza che perpetriamo nei confronti dell’ambiente sono ormai insostenibili. Ecco l’impegno di Terra Madre:
difendere e promuovere una produzione rispettosa dell’ambiente, delle risorse naturali, della biodiversità, della giustizia sociale. La visione strategica è rappresentare la sovranità alimentare: ogni popolo ha diritto di seminare e mangiare ciò che vuole, senza essere schiavo delle multinazionali o della logica del fast food”. Tutto questo lo dice con il sorriso. È un arcigno generoso, Petrini, un combattente formidabile, e quando sorride, sorridono anche i peli della barba.
Assaggia peperoni e Freisa, fa un gesto con la mano come a dire “bontà divina!” e riprende: “In quasi tutte le civiltà la Terra è vissuta come madre e il Sole come padre. Nell’era moderna, e mai come in questo momento, Terra e Sole possono tornare a essere protagonisti di una nuova fase dell’umanità. Lasci perdere la retorica che può esserci in una frase simile, però è questo il problema: abbiamo una visione della Terra come se fosse altro da noi, e invece noi siamo Terra, mangiamo terra e prima o poi terra torniamo, anche se alcune culture l’hanno dimenticato. E allora, non è meglio concepire un nuovo rapporto di rispetto con la natura? Lo “sviluppismo” senza fine, come se le risorse fossero inesauribili, che senso ha? E il parametro del Pil che giudica l’arretratezza? Fino a quando potremo tollerare un degrado ambientale che sta provocando collassi quasi sistemici? Non bisogna essere ottimisti né pessimisti, bisogna fare. Prima pensare e poi fare. Per questo noi si lavora”. Come lo dice lui, suona bene l’idea del lavoro e del noi, di mettersi insieme con il senso e la pratica della comunità. Di fare, dopo aver pensato. Fra pochi giorni (dal 21 al 25 ottobre) al Lingotto di Torino si terranno l’ottava edizione del Salone del Gusto e la quarta riunione mondiale delle comunità del cibo di Terra Madre: sono entrambi un pensiero che dà vita a un’azione, una teoria e una pratica insieme. Due appuntamenti che convivono: la mostra mercato della produzione enogastronomica di qualità e l’incontro dei saperi e delle esperienze di chi lavora nella filiera agroalimentare. Laboratori, conferenze, degustazioni, attività didattiche, gruppi di studio, ospiti da centottanta Paesi, grandi chef, intellettuali, contadini. Tema di quest’anno, “Cibo += territori”. Ovvero: senza territorio il cibo non esiste e attraverso il cibo un territorio dice chi e che cosa è.
“Quest’anno la cerimonia di apertura di Terra Madre” annuncia Petrini “è con indigeni dei cinque continenti che parleranno nella loro lingua. Sarà la prima assise al mondo in cui si ascolteranno cinque lingue ancestrali. E comunque abbiamo tredici traduzioni: italiano, francese, inglese, tedesco, spagnolo, portoghese, ma anche russo, giapponese, indi, arabo, swahili, quechua, cinese. Questo per dire che la lingua va difesa come le sementi e le razze animali. Le popolazioni indigene sono state sempre derubate dei loro saperi. Si è trattato di un genocidio culturale: la violenza perpetrata per distruggere le culture è terribile e propedeutica al genocidio vero e proprio. Carlo Levi, Pasolini, lo stesso Fenoglio hanno avvertito che stavamo demolendo qualcosa di millenario: buttavamo via il bambino con l’acqua sporca. Noi ci siamo distrutti un po’ il futuro, ma per gli indigeni è stato peggio: il loro rapporto con la natura e l’ambiente è tutto, levagli quello e non esistono più”. I diritti dei sami della Lapponia, degli yanomamö dell’America latina, dei lakota nordamericani sono i nostri diritti. Difendendo loro, difendiamo noi stessi, facciamo circolare sapere, trasformiamo il nostro singolare in plurale. L’entusiasmo è evidente, negli occhi e nelle parole di Petrini, mentre racconta del suo nuovo progetto, quello dei Granai della Memoria. Due belle parole anche loro. Due cose e concetti utili, indispensabili. Spiega: “Quest’anno mandiamo i quattrocento studenti della nostra Università di scienze gastronomiche in tutto il mondo. Un gastronomo compiuto non può formarsi nel chiuso del suo orto. Per questo organizziamo centoquaranta stage con gruppi di tre, quattro ragazzi. Li dotiamo di una videocamera ad alta definizione e li mandiamo a raccogliere storie, metodi, contesti, tradizioni, per documentare le diversità delle culture. Loro vanno a capire, a formarsi, e che cosa portano a casa? Qualcosa nella zucca, certo, ma anche interviste e filmati per il Granaio. Una montagna di documenti che saranno archiviati. Oltre agli studenti, lo potranno poi fare i fiduciari di Slow Food, i membri di Terra Madre, gli stessi contadini”. Sogna una rete capillare di memorie, non solo del cibo, ma del vivere. Memorie fatte di silenzi, volti, sguardi, oltre che parole. “Una serie di saperi, come quelli tramandati attraverso l’oralità, e una serie di categorie, come gli indigeni i contadini, le donne, gli anziani, sono stati a lungo emarginati. I Granai della Memoria si rivolgono soprattutto a loro”. A persone come i due contadini incontrati in Corea del Sud il mese scorso, che gli hanno lasciato due insegnamenti, uno più spiazzante dell’altro. Il primo ha raccontato che, per tradizione, chi produceva fagioli divideva il raccolto in tre parti: un fagiolo lo mangiava, uno lo divideva con gli altri e uno lo dava agli uccelli. Oggi invece chi produce i fagioli li tiene tutti per sé. L’altro contadino ha spiegato che, quando ha iniziato a studiare musica, il suo maestro è partito dal silenzio. E allora: perché per Slow Food il primo argomento non è il digiuno? “Già” ragiona Petrini “devo capire come, ma forse è da lì che dobbiamo partire”. Accetta la sfida. Sa che la complessità non si governa, ma bisogna cercare di capirla. E per capirla devi avere un progetto. Lui ce l’ha. C’entra con il gusto e con la lentezza. Con la terra e con la madre. Con la memoria. E con il futuro.

Provincia da maestri

Al Salone verrà presentato “Maestri del Gusto di Torino e provincia 2011-2012”, la guida pubblicata dalla Camera di commercio di Torino raccoglie gli indirizzi dove trovare i maestri del mangiar bene.

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