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IL VINO ITALIANO DEVE FARE SISTEMA? SI, NO, FORSE: PENSIERI E PAROLE SU UNO DEI TEMI SEMPRE CALDI DELL’ENOLOGIA DEL BELPAESE NELL’ASSEMBLEA NAZIONALE DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA SOMMELIER, CON ALCUNI DEGLI ATTORI PIÙ IMPORTANTI DEL VINO TRICOLORE

Il vino italiano deve fare sistema. Oppure no. Ecco i sentiment, contrastanti, della tavola rotonda più importante, di scena nell’assemblea dell’Associazione Italiana Sommelier (che poi vedrà, a Roma, il 27 ottobre, nell’election day, stando ai rumors, l’elezione di Antonello al vertice dei Sommelier Italiani, il ligure Antonello Maietta, da anni prezioso collaboratore della guida “Duemilavini”, edita da Ais Roma-Bibenda e capitanata da Franco Ricci), che ha visto confrontarsi tanti dei più importanti nomi dell’enologia italiana. A scatenare il dibattito il giornalista Lamberto Sposini: “il non fare sistema è davvero un limite in Italia, Paese delle tante cose che non funzionano e delle singole eccellenze?”. Per il patron di Ais-Bibenda, Franco Ricci, non ci sono dubbi, “è fondamentale, va costruita una lobby del vino italiano. Quando si discuteva del tasso alcolemico, per esempio, ero con l’allora Ministro della Sanità Sacconi, che si stupì che non ci fosse una voce forte del comparto. E poi bisogna creare tutti insieme cultura del vino, soprattutto all’estero”. Vinzia Firriato, uno dei nomi del vino di Sicilia, ha spiegato che “il non fare squadra da un lato, forse, è un bene, perché l’italiano è individualista e creativo. Ma oggi il consumatore prima che al marchio guarda al territorio, ed è li che bisogna creare una cornice comune”. Come in Franciacorta, dove però, spiega il presidente del Consorzio delle bollicine, Maurizio Zanella, “è stato più semplice perché i produttori sono simili per dimensioni e prodotto. Ma sulla promozione, in generale, ci sono troppi enti e associazioni”. Concorde Gianni Zonin, alla guida di uno dei gruppi vinicoli più importanti d’Italia: “sono due le questioni che il mondo del vino deve affrontare compatto: il tasso alcolemico, che ci penalizza molto”, e il controllo della “corsa al vigneto” secondo le mode, come sta avvenendo ora nel territorio del Prosecco.
Diversa la posizione di Renzo Cotarella, ad Marchesi Antinori: “bisogna trovare dei punti d’interesse comune, e difficilmente esistono per tutte le realtà italiane. Meglio, forse pensare a “squadre” più piccole”. Sulla stessa linea, Pompeo Farchioni, alla guida di Terre della Custodia, nel territorio del Sagrantino di Montefalco, che aggiunge: “l’obiettivo comune è che il settore sia remunerativo, sia per i produttori che per chi conferisce uva e per chi lavora”. Provocatorio, invece, Marco Caprai, alla guida della griffe umbra: “ci sono troppi soldi per la promozione, e questo porta ad una moltiplicazione degli enti che possono gestirli. Se ce ne fossero meno, forse la gestione sarebbe più efficace. La politica, inoltre, dovrebbe ragionare su un progetto concreto, e non a caso. Importante, poi, il lavoro di formazione all’estero: l’Ais dovrebbe formare un “esercito di Sommelier” che aiutino il nostro vino nei Paesi del mondo, dove dovremmo creare anche una forte rete di retail, come hanno fatto i francesi”.

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