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AGRICOLTURA

In Italia nel 2021 sono stati 230.000 i lavoratori irregolari nei campi, secondo Flai Cgil 

Un fenomeno radicato al Sud, con tassi di oltre il 40%, ma diffuso anche al Centro-Nord. I dati del Rapporto Agromafie e Caporalato n. 6
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Migranti e agricoltura nel Rapporto Agromafie e Caporalato-Osservatorio Placido Rizzoto

Nel 2021 sono stati 230.000 gli occupati irregolarmente in agricoltura nel nostro Paese (di cui 55.000 le donne), oltre un quarto del totale del settore. Il lavoro agricolo subordinato non regolare è radicato in Puglia, Sicilia, Campania, Calabria e Lazio, con tassi di oltre il 40%, ma anche nel Centro-Nord le percentuali oscillano tra il 20 e il 30%. Quasi due quinti delle ore effettivamente lavorate annualmente dai dipendenti agricoli sono irregolari, pari ad oltre 300 milioni di ore sul totale di 820 milioni. Questi i dati che emergono dal Rapporto n. 6 Agromafie e Caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil https://www.flai.it, presentato oggi a Roma.
Un fenomeno, quello del lavoro irregolare nei campi, ha evidenziato Jean Renè Bilongo, presidente dell’Osservatorio Placido Rizzotto“che si mostra in ulteriore crescita rispetto alle 180.000 unità indicate nel rapporto precedente in base ad una stima prudenziale”.
Nel 2020 l’economia sommersa vale 157,4 miliardi di euro (9,5% del Pil), in calo di 26,5 miliardi rispetto all'anno precedente. Inoltre, mettendo a fuoco nello specifico il profilo degli occupati agricoli non regolari, si nota che il peso dei lavoratori migranti quasi raddoppia (in particolare quello dei cittadini comunitari); in oltre il 70% dei casi si tratta di lavoratori dipendenti e, tra questi, si osserva un maggior peso degli occupati che lavorano in regime di part-time. Ne consegue che, in corrispondenza dei lavoratori con tali caratteristiche, i tassi di irregolarità assumono valori decisamente più elevati rispetto al tasso riscontrato per l’intero settore agricolo. Nel comparto agricolo si riscontra la tendenza a generare “lavoro povero” ove prevalgono individui, che pur avendo lavorato, mostrano redditi personali e familiari decisamente al di sotto dei valori medi. In particolare, in Italia 8,6 milioni di persone hanno un reddito disponibile familiare equivalente annuo inferiore alla metà del reddito mediano misurato su tutti i residenti (cioè inferiore a 8.300 euro). Escludendo i lavoratori stranieri non residenti, poco meno di un terzo dell’occupazione agricola (pari a oltre 300.000 unità) ricade in questa area a bassissimo reddito, con un’incidenza che è il triplo di quella media, senza contare un ulteriore 3,7% di occupati agricoli che vive in famiglie prive di segnali di redditi emersi.
L’appalto e il sub appalto illecito, sapientemente orchestrati da “colletti bianchi” senza scrupoli, con girandole di pseudo-imprese, spesso false cooperative, ma anche Srl farlocche quasi sempre intestate a compiacenti prestanomi, rappresentano l’evoluzione dell’intermediazione illecita di manodopera, che può essere definita “nuovo caporalato” o “caporalato industriale”. Ad evidenziarlo è Matteo Bellegoni dell’Osservatorio Placido Rizzotto, con approfondimenti territoriali in Friuli Venezia Giulia, nel Veneto e con il caso Italpizza, con un focus sul distretto della lavorazione delle carni modenese.  Un’evoluzione diventata un modello d’organizzazione del lavoro per imprese senza scrupoli che, pur di essere più competitive e di aumentare le proprie marginalità, calpestano contratti di lavoro, dignità delle persone e leggi dello Stato.
Un “modello” che non interessa solo le imprese dell’agroalimentare, ma che parte dai campi e arriva fino agli ospedali, passando dai macelli. Il sistema degli appalti e dei sub appalti, infatti, consente a committenti spregiudicati di avvalersi di manodopera a costi bassissimi, in alcuni casi oltre il 40%, con improprie applicazioni contrattuali (logistica e multiservizi per lavorazioni del processo produttivo dell’industria alimentare), con orari e ritmi di lavoro pesantissimi, ma che genera anche imponenti evasioni da parte delle pseudo imprese appaltatrici che non saldano i propri debiti con lo Stato (Iva, Irap, contributi Inps) o con le banche (per gli anticipi fatture che non vengono negati quando c’è una facoltosa e sicura committenza).

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