In principio fu il Pinot: capriccioso, poco produttivo, instabile nel colore, eppure capace di regalare vini così eleganti e profumati a generazioni di uomini che lo hanno curato e diffuso. E il Pinot li ha ripagati: mutevole per natura, ha dato origine al Pinot Bianco e al Pinot Grigio; incrociandosi, ha generato lo Chardonnay e forse il Traminer, dal quale derivano il Cabernet Sauvignon e il Merlot. In Italia ha per nipoti Marzemino, Lagrein e Refosco. È questo solo un esempio dei legami di parentela, complessi proprio come quelli di ogni famiglia che si rispetti, raccontati e ricostruiti come in un romanzo in “La Stirpe del Vino. Nobili ascendenze e incroci bastardi dei vini più amati”, volume firmato a quattro mani da Attilio Scienza, tra i massimi studiosi di viticoltura al mondo - 350 pubblicazioni scientifiche e 15 libri all’attivo - e dalla biologa Serena Imazio per Sperling & Kupfer, che per la prima volta ricostruiscono la famiglia del vino, muovendosi tra analisi del Dna, archeologia, antropologia, mito e letteratura e ripercorrendo l’origine e la storia dei grandi vitigni. Che è anche la storia degli uomini che li hanno amati e coltivati.
Che cosa lega Nebbiolo e Syrah, Sangiovese e Gaglioppo? Lo rivelano nel volume (Sperling & Kupfer editore, pagine 256, prezzo di copertina 18,90 euro) i due studiosi e ricercatori di genetica della vite attraverso le antiche parentele dei più celebri vitigni a partire proprio dalla storia esemplare del Pinot. Oggi in Europa si contano circa 10.000 vitigni, diversissimi per caratteristiche, che discendono però da pochi avi fondatori. L’analisi genetica ha rivelato insospettabili storie di incroci, scambi e migrazioni. Furono i mercanti a introdurre vitigni esotici, come Moscati e Malvasie, e gli uomini che si allontanavano dalla loro terra a portare con sé le proprie radici sotto forma di piante, contaminando il patrimonio locale e creando nuove varietà.
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