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Intelligence In Life Style / Il Sole 24 Ore

Lotta al vino nero ... Leggero, frizzantino e vivace al palato. Ma prodotto sulla schiena delle centinaia di migliaia di lavoratori dell’industria vinicola a cui, a oggi, vengono ancora negati diritti elementari quali il salario base e abitazioni decenti. E quanto sostiene l’associazione Human Rights Watch nel suo ultimo rapporto riguardante l’industria vinicola sudafricana, la settima al mondo per livello di produzione (con 1,2 miliardi di bottiglie prodotte ogni anno) e un giro d’affari superiore ai due miliardi e mezzo di euro l’anno. Concentrata nel Western Cape, la regione sudoccidentale attorno a Città del Capo dove sono situate le Winelands, per anni l’industria del vino sudafricano è stata accusata di trascurare i diritti dei propri lavoratori impedendo loro di unirsi in sindacati e pagandoli attraverso il dop system (ossia metà in danaro e metà in vino), risparmiando così sugli stipendi e mantenendo in un costante stato di dipendenza fisica ed economica i propri lavoratori, perpetuando una pratica che favorisce l’aumento delle violenze domestiche. Nonostante il dop system sia progressivamente caduto in disuso dopo il 1994, le testimonianze raccolte da Hrw parlano ancora di lavoratori costretti a vivere in ex recinti per maiali, senza acqua né elettricità, e a lavorare nei campi senza alcuna protezione contro i pesticidi, in palese violazione delle leggi per la tutela dei lavoratori. Secondo il rapporto, basato su una serie di interviste con 260 tra lavoratori, proprietari di aziende vinicole e addetti ai lavori, solo il 3 per cento (contro una media nazionale del 30) dei lavoratori vinicoli sarebbe rappresentato da sindacati come Sikhula Sonke, che negli anni è riuscita a ottenere per i propri membri il pagamento di un salario minimo pari a 1.200 euro al mese. Costantemente pressati sull’argomento, i rappresentanti dei proprietari respingono le accuse, puntando l’accento sul miglioramento delle condizioni dei lavoratori negli ultimi 17 anni che avrebbe portato alla costruzione di 200mila nuove abitazioni e all’avvio delle scuole rurali per i figli dei lavoratori, costretti a vivere nelle aziende per almeno sei mesi l’anno. Ad accrescere le tensioni contribuisce il fatto che i proprietari delle aziende vinicole siano ancora in stragrande maggioranza bianchi, un fattore che aggiunge alle dispute economiche una connotazione razziale dal sapore antico.


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