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L’enoturismo cambia e si fa sempre più esperienziale, ma non basta: ogni cantina deve scegliere la sua strategia, e capire se serve per aumentare le vendite, fare marketing o è un vero core business. Riflessioni e “case history” da Wine2Wine

Italia
Enoturismo sempre più esperienziale, voci e case history da Wine2Wine

Come l’intero settore del turismo anche l’enoturismo sta vivendo una fase di cambiamento, e l’idea di andare da una cantina all’altra solo per conoscere e degustare vini è ormai obsoleta. Fare turismo è infatti ormai sinonimo di vivere un’esperienza, ed è quella che cerca anche un enoturista quando visita un territorio. Una cantina deve quindi saper offrire questo ai propri visitatori. Riflessioni emerse a Wine2Wine, dagli interventi degli esperti del settore Felicity Carter (Meiniger’s Wine Busines International), Per Karlsson (BKWinetours), e Lin Liu (Wine Maniacs), moderati da Alessandro Lunelli (Ferrari).

“Enoturismo oggi non è solo andare da una cantina all’altra - ha sottolineato Felicity Carter -, perché questa è una visione ormai superata. L’enoturismo ora fa parte di un turismo esperienziale e anche del cosiddetto turismo del “buongusto”, ovvero la ricerca di prodotti di un territorio che non sono solo vino”. Per questo le aziende devono saper andare oltre la degustazione dei prodotti”. Carter si è poi soffermata su quale tipo di enoturismo una cantina può intraprendere in base alle proprie esigenze. “Vi è quello più classico orientato ad accrescere in particolare la vendita diretta - ha osservato - ci sono poi aziende che vedono l’enoturismo come una parte integrante della loro offerta, e ci sono poi cantine il cui business è rappresentato principalmente dal turismo”.
La giornalista ha poi consigliato alle cantine di collaborare insieme ad altre realtà dello stesso territorio con l’obiettivo di “creare una destinazione. Oppure promuovere il territorio con il supporto delle istituzioni locali. La destinazione è infatti un luogo dove si è attratti non solo per il vino ma anche per altre esperienze”.
Carters ha poi ricordato alcuni esempi di enoturismo nel mondo, come quello dell’azienda di Abrau-Durso in Russia, che con investito 20 milioni di dollari, riuscendo in pochi anni a crescere da 140.000 visitatori annui a 260.000. Chi non ha tanti soldi da investire può scegliere di seguire l’esempio di Seppelt Filef nel su dell’Australia, dove tutto il territorio si è messo insieme per costruire una destinazione turistica che oltre al vino offre prodotti artigianali e una collaborazione con i ristorante arrivando in pochi anni ad accrescere di molto i ricavi del settore.

“Ma anche il territorio deve promuovere se stesso - ha detto ancora - un buon esempio è quello Bordeaux che è famoso soprattutto per alcune cantine ma che conta ben 65 appellation. Molte cantine non venivano perciò visitate nonostante producano ottimi vini. Nel centro di Bordeaux è stato quindi realizzato un wine bar che propone i vini di tutto il territorio,
ruotandoli ogni due settimane, e che oggi vende 10.000 bicchieri al mese e conta 77.000 visitatori. Nonostante Bordeaux non sia famoso per i vino spumante o il rosè, da quando il wine bar ha iniziato a mettere questi vini in rotazione il loro consumo ha iniziato a diffondersi”.
Un altro esempio felice, ha ricordato ancora, “è quello della Virginia che ha adottato una strategia territoriale che visto unire l’industria del turismo e dell’accoglienza con quella cinematografica e con quella del vino per una reciproca copromozione. Il risultato di questo programma congiunto è stato un aumento del 62% dei visitatori in 10 anni e nel 2012 la Virginia è entrata nella top ten delle Wine travel destination del 2012”.
Secondo Carter, “non bisogna cercare di fare tutto da soli, l’Italia è il luogo migliore per sviluppare l’enoturismo ma il problema è la frammentazione e la mancanza di collaborazione tra le Regioni vinicole. Se l’Italia saprà superare questo sarà la numero uno”.
Per Karlsson ha spiegato di visitare ogni anno 200-300 cantine, tra le quali anche molte italiane.
“Ho chiesto a molte di loro perché avessero deciso di fare enoturismo - ha osservato - e nessuna ha risposto perché volevano fare soldi, ma perché è un modo per creare un rapporto con i consumatori, e per fare marketing a lungo termine”.

Un esempio di successo, ha ricordato, “è la cantina spagnola Baigorri con 25.000 visitatori ogni anno, e circa 100 ettari vitati. Il loro punto di forza non sono le visite alla cantina, che sono classiche con degustazione, ma il vantaggio è il loro ristorante che ha un design particolare e per arrivarci bisogna passare proprio dalla cantina. Inoltre sono situati vicino a Bilbao e questo facilita i visitatori. Il loro obiettivo non è quello di fare enoturismo per vendere vino in cantina ma marketing. Per questo hanno dedicato sei addetti marketing al settore dell’accoglienza”. Inoltre per fidelizzare i loro visitatori creano cuvèe speciali con varietà dimenticate, che vengono venduti esclusivamente a chi vista la cantina dando loro un’idea di esclusività”. "Un’altra cosa importante - ha detto ancora - è che loro raccolgono gli indirizzi email dei loro visitatori per poi poter mandare loro newsletter e offerte”.
Karlsson consiglia poi una visita a Coldorcia, perché “quando si visita la cantina spesso è il Conte Marone Cinzano, il produttore, che ci accoglie. La degustazione è di otto vini ed è possibile assaggiare anche campioni di botte o annate particolari. È esperienza da “wow”, e poi - ancora in tema di “esperienze” - c’è la possibilità di pranzare con tagliatelle al cinghiale, catturato dallo stesso Conte”.
Un altro caso, ha detto ancora, “è quello di Chateau Phelan Segur, uno tra i più importanti della propria zona, che punta su non tante visite, solo 3.000 visitatori annui, ma molto selezionate per offrire loro un’esperienza di visita 100% Vip. Gli enoturisti vengono accolti dal Ceo dell’azienda, dall’enologo dal capo del marketing, non ci sono hostess o stuart. Una delle cose più importanti per avere successo nell’enoturismo è aver le persone giuste. È la qualità delle persone che accolgono i visitatori a essere parte dell’esperienza. Inoltre chi contatta la cantina riceve una risposta entro 12 ore. Anche gestire bene le email e rispondere subito è un fattore di successo”. Da qui qualche consiglio pratico rivolto in particolare alle cantine italiane: “in Italia dovete rispondere delle email più velocemente. In alcuni casi ho avuto dovuto attendere due settimane per avere una risposta. C’è poi spesso difficoltà ad avere ricevute o delle fatture”, ha concluso.. Consigli pratici, che dicono che quello che dovrebbe essere ovvio, in molti casi, probabilmente, ancora non lo è.

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