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L'espresso

Gli Orchi della Val d’Orcia ... Per L’unesco è patrimonio dell’umanità. Per i viticoltori il paradiso del Brunello. Per gli immobiliaristi una terra da conquistare. Ma il caso Monticchiello non è l’unico. Abbiamo scoperto altre storie: a Pienza, San Quirico, Contignano... ... E a Montalcino? Intorno al borgo celebre per quel Brunello che ha fatto la fortuna mondiale della viticoltura locale ed è divenuto l’emblema della nuova ricchezza turistica, trasformando leader europei, da Tony Blair a Joschka Fischer, in ambasciatori del “savoir vivre” toscano? “Ai tempi di mio padre” racconta Gianni Brunelli, uno dei più apprezzati produttori di Brunello, titolare delle Chiuse di Sotto, difensore appassionato del paesaggio e dei saperi tradizionali, “i produttori non erano più di 20. Oggi siamo in 300, nel 2004 la produzione totale è stata di 14 milioni di bottiglie. Ho visto qualche sangiovese cambiare colore, sono sorte cantine enormi in cemento. Stiamo molto attenti”, ammonisce, “la salvaguardia del territorio è cruciale. In questo appoggio Asor Rosa: i villaggetti per turisti vanno bene a Santo Domingo, non in Toscana”. Brunelli ci accompagna nella pineta di Montalcino, sopra il borgo. A un certo punto ci appare una specie di pueblo a colori pastello, albicocca, rosato, canarino e zafferano, un finto Messico clonato Valtur ma con le aiuole rinsecchite. Più sopra, tra i pini centenari, a sbalzo sopra le tenute Biondi-Santi, spuntano villozze recenti con vetrate squadrate che paiono occhiali da sole giganti. Sotto il paese la Gestioni & Intermediazioni di Firenze propone un altro villaggio da realizzare in “unità personalizzabili” da due a cinque locali con garage, piscina, giardinetti. È l’inizio della villaggizzazione, in Val d’Orcia? Forse sì… 

Lasciate che i turisti vengano a noi
Turismo d’assalto, soldi facili, identità minacciata? Sentiamo l’artista Sandro Chia, che è anche produttore di vini. Chia, 60 anni, fiorentino, vive e lavora dividendosi tra Castello del Romitorio, una rocca trecentesca dietro Montalcino, Roma e New York. Che ne è del modello Montalcino?
 "Funziona ancora bene. Grazie alla sua gente, che ha saputo mantenere la propria identità. Anzi, negli anni direi che l’ha accentuata".
Nessuna nostalgia dei tempi andati?
"No, non mi aggiungo al coro dei nostalgici. In Val d’Orcia c’era il proletariato, nel senso letterale del termine, c’erano malattie, fame, povertà. Non era un idillio agreste".
Il turismo in crescita non porta rischi?
"Non mi scandalizzano affatto i pullman a Montalcino. Il turismo è anche esuberanza, scambio di lingue, di idee. È una crescita che si può gestire: certo bisogna garantire servizi efficaci".
La immaginavamo più elitario.
"E perché? Non ho un’indole elitaria, né ho origini privilegiate. Mantenere la qualità per quattro gatti è molto facile: la sfida è mantenerla anche per quattromila".
Quanto pesa l’identità storica toscana?
"I toscani hanno un’identità forte, ma equilibrata. Pienza, progettata da un papa, Pio II, è una città-modello, quasi un trattato di filosofia, di grande equilibrio. Una città ideata perché la gente venga, non perché ne stia lontana".
E a San Gimignano, per esempio? Introdurrebbe un biglietto d’ingresso?
"Se il prezzo è ragionevole, perché no? Non mi garba la demagogia del ‘non si paga’".
Un motto d’artista per la Val d’Orcia?
"Noi siamo ciò che mangiamo. E chi mangia bene pensa bene".

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