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L'espresso

Com’è sexy questo vino ... Si consumano meno bottiglie, ma di migliore qualità. Perché è cambiato lo stile di vita. Così il made in Italy deve vincere la concorrenza delle etichette emergenti, di birre e soft drink... A New Delhi la parola vino non esiste. Non è contemplata la traduzione in hindi: l’importazione è stata a lungo vietata, la vendita consentita solo negli alberghi. Però nei giorni scorsi 50 produttori italiani hanno presentato in India i loro vini, in una visita promossa da Vinitaly, la più grande fiera enologica a) mondo (si tiene ogni anno a Verona) il vino italiano cerca nuovi mercati. Con circa 53 milioni di ettolitri prodotti nel 2005. Oltre 25 milioni li beviamo noi, 16 vanno all’estero, spiega Giovanni Mantovani, direttore generale di Verona Fiere, che organizza Vinitaly. La cauta rinascita parte oltre confine: a cominciare da Germania e Usa, dov’è il preferito. Ma anche in Gran Bretagna il trend è positivo, e ai francesi si riesce a vendere su per giù un milione di ettolitri. E poi ci sono mercati come Svizzera, nord ed est Europa: con paesi come la Repubblica Ceca dove la crescita s’impenna oltre il 90 per cento. «Comunque sui mercati esteri si fanno sentire i vini del nuovo mondo, gli australiani, i cileni, i californiani», ammette Andrea Sartori, presidente dell’Unione Italiana Vini: «Facili da bere, semplici da consumare fuori pasto».
Ma cos’è che si vende? Gli estremi. La fascia più alta, quella del lusso, e quella più bassa, entro i 5 euro di prezzo “franco cantina” (cioè applicato dai produttori a ristoratori, hotel, wine bar). Fatica, invece, la fascia intermedia: la gente sta imparando il messaggio bere meno ma bere meglio”, il che spiega anche perché si consumi più vino di alta qualità. Si beve meno, lo denunciano i numeri: e per i grandi produttori, come Francia e Italia, il tasto dolente è il consumo interno. La perdita c’è ed è costante. «C’è la concorrenza di altre bevande, dalla birra ai soft drink», illustra Sartori: «E sono cambiati molto gli stili di vita. Ha inciso parecchio la spinta salutista che si è diffusa negli ultimi anni, ma anche il cambiamento negli orari di lavoro: a pranzo nessuno ha più tempo per un pasto con calma, da accompagnare a una bottiglia». Per questo il vino compare sempre più di rado sulle tavole dei ristoranti. Tranne in quelli che propongono degustazione a bicchiere. Dove gli avventori si incuriosiscono alle novità di nicchia, come segnalano i sommelier di ristoranti top quali Cracco-Peck a Milano o La Pergola dell’Hilton di Roma. Fa loro eco Niko Romito del ristorante Reale di Rivisondoli, Giovane dell’Anno 2006 per la “Guida dell’Espresso”: grazie alla diffusione dei calici, aumenta il consumo.
Il vino alla mescita: eccola, una direzione per il futuro. «Permette di scegliere tra tante etichette e degustarle al costo di una bottiglia». sintetizza Alessandro Regoli, direttore di www.winenews.it.
«Bisognerebbe anche incrementare la disponibilità delle mezze bottiglie, e la moda americana del “wine corkage”: si stappa la bottiglia portata da casa anche al ristorante. O ci si alza da tavola portandosi via quella lasciata a metà».
Ma non basta. Il vino è faccenda complessa. «Tra i nostri compiti c’è quello di tutelare i prodotti nazionali in Europa. negoziando al meglio i sostegni economici: un miliardo e mezzo di euro. il 30 per cento circa all’Italia», chiarisce Mario Catania, direttore generale del ministero delle Politiche agricole. «Si produce troppo vino di bassa qualità. Bisogna sostenere la riconversione di una parte verso una qualità più alta».
Liquoroso come un passito o allegro come un lambrusco, certo è che il vino affascina e fa macinare chilometri: alla ricerca di fiere, eventi, manifestazioni. Secondo un sondaggio di winenews.it (100 mila visitatori al mese), il 75 per cento degli intervistati ha partecipato a serate di degustazione e più del 30 per cento ha visitato delle cantine durante le vacanze. Ma il pubblico del vino è potenzialmente molto più ampio. Per raggiungerlo bisogna inventarsi nuovi stimoli. Magari facendo gruppo il più possibile: perché il primo problema accusato dai produttori è la frammentazione in un’infinità di aziende (e strategie e iniziative). All’estero ci stanno provando Buonitalia, società del ministero delle Politiche agricole, l’Ice, Vinitaly, che oltre all’appuntamento veronese (quest’anno in programma dal 29 marzo fino al 2 aprile) ha in programma tour promozionali in Russia, Cina, Giappone, Stati Uniti.
«Occorre riscoprirsi Marco Polo», scherza Regoli. E magari convincere anche i più strenui amanti degli chateau rivali. Come la critica del “Financial Times”, Jancis Robinson: durante il World Economie Forum di Davos, pochi giorni fa, ha guidato la degustazione di dieci “classic clarets”. Dieci impeccabili. Tutti, peccato, rigorosamente francesi.

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