02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024

L'espresso

American Eataly ... Da Torino a Manhattan. Apre sulla Fifth Avenue il mercato-ristorante simbolo della gastronomia di qualità. Italiana e locale... Una vetrina per i produttori.E un palcoscenico, a due passi da Broadway. Per insegnare a mangiare “sano, pulito, giusto”... Birra con vista sui grattacieli di Midtown. Mozzarella-show a due passi da Broadway. E pizza ovviamente. Da farine americane, ma con tecnica italiana. Piatti regionali, dolci della nostra tradizione, non necessariamente realizzati con ingredienti importati. Lasciate ogni snobismo voi che entrate. Ecco, dal 31 agosto a New York, al numero 200 della Fifth Avenue, la versione a stelle e strisce di Eataly, supermercato con cibi di alta qualità e insieme contenitore di ristoranti, bar, cantina, spazi per la didattica e angoli da bibliofili, lanciato da Oscar Farinetti nel 2007 a Torino. E più che un format, approdano nella metropoli una filosofia e un’idea imprenditoriale: saldare, per la prima volta e in grande, il meglio del nostro made in Italy con le eccellenze americane. Il savoir faire italiano con l’eredità enogastronomica che generazioni di emigranti hanno trasferito, e custodito, negli States. E rendere omaggio, a sorpresa, alle materie prime di qualità che pure la nazione del fast-food può vantare. “Grazie, America”, sarà lo slogan. Che fa l’occhiolino a tutti. “Guardo con interesse a questa operazione, un’enorme occasione per il made in Italy alimentare”, nota il fondatore di Slow Food Carlo Petrini, che il trentennale amico Farinetti chiama “mentore”, e che a New York per l’inaugurazione darà l’imprimatur ideale alla food hall: “Sono davvero curioso di vedere la reazione dei consumatori americani. Ma il livello di sensibilità del mercato è oggi altissimo. I dibattiti culturali intorno a questi temi sono accesi. E lo stesso Obama sa che gli investimenti sulla salute pubblica non possono prescindere dall’educazione alimentare. Ecco perché credo che la risposta sarà molto positiva. Certo, la sfida è alta: bisogna evitare di far circolare troppo le merci, trovare un prezzo giusto che abbia alle spalle una remunerazione corretta dei contadini. Mantenere la qualità, valorizzando i prodotti locali”. Traduzione: il cinquanta per cento dei prodotti in vendita saranno italiani, raggruppati per regioni, in modo da rappresentare l’intera biodiversità. Per la metà restante, alimenti dell’eccellenza americana: carne, pesce, farine, frutta e verdura. Presidi di razza piemontese allevata in Montana? “Perché no”, replica Petrini: “ Nell’allevamento contano la razza e l’alimentazione. Se quegli animali mangiano le stesse cose altrove non fa alcuna differenza. Del resto, la circolazione delle merci ha costi troppo alti, che non avrebbe senso sostenere”. Né i divieti all’importazione sarebbero aggirabili. Ma come conciliare la richiesta di volumi alti e ulteriori progetti di espansione con produzioni di qualità, per definizione limitate? “Non si conciliano”, dice secco Petrini: “La quantità deve rimanere contenuta: se si spinge ad aumentare le produzioni per soddisfare la richiesta dei mercati è la fine. Anche per questo non avrebbe senso approvvigionarsi esclusivamente in Italia. E spero che Eatalv, nella sua crescita, mantenga questa capacità di valorizzare il territorio”. Fronteggiare la tentazione delle economie di scala con itinerari del gusto. Viaggi alla scoperta di territori, di metodi di produzione, di tradizioni. E di contemporaneità. C’è negli Usa, oggi più che mai, l’urgenza di acquisire coscienza di quello che si mangia? Farinetti da Alba fa l’americano. A braccetto del sindaco di New York Michael Bloomberg. Che alla nuova apertura di Eataly sta riservando grande attenzione: vetrina prestigiosa per molti produttori nazionali. E un’alleanza in più nella sua personale crociata antiobesità. Dopo ripetuti moniti a migliorare l’alimentazione, il sindaco ha emesso un vero e proprio diktat: ridurre l’uso del sale, nei cibi pronti o serviti al ristorante, del 25 per cento nel giro di cinque anni. Farinetti coglie la sfida. E alza la posta: mostrando che se usi materie prime di qualità, di sale ne basta le metà. Chiamando uno come il pasticcere salutista Luca Montersino a dimostrare che ridurre gli zuccheri non toglie nulla alla bontà. Tutto live. “Faremo i dolci in diretta. Faremo la mozzarella, la pasta, la birra, il pane”, elenca il fervido Farinetti: “Metteremo in mostra i simboli dello stile di vita italiano. Per gli americani, certo. Ma anche per migliaia di turisti italiani ogni anno di passaggio a New York. Cominceremo con la Liguria, con angoli che ne esporranno i prodotti migliori. E un mese dopo l’altro esploreremo il nostro patrimorno enogastronornico. I prezzi? Saranno i più bassi possibili, anche se sarà inevitabile l’incidenza dei costi di trasporto e doganali. I dipendenti? Gente che abbiamo formato da mesi, in grado di fornire tutte le informazioni sui prodotti”. Al resto, ci pensano i cartelli, un tratto distintivo di Eataly, già sperimentati da Torino a Tokyo. Disseminati ovunque, a centinaia, informano, confermano l’anima didattica degli spazi. Perché i prodotti non solo si comprano: si studiano e si consumano. “Con spirito di assoluta informalità”, precisa: “Eataly è un luogo di democrazia. E se i prodotti sono quanto c’è di meglio tra le produzioni artigianali, i prezzi sono i migliori possibili, perché è ridotta all’osso la catena distributiva. Eataly si fonda sulla teoria dei contrasti apparenti”, solfeggia infine questo cinquantaseienne one man show, faccia paciosa e baffi d’altri tempi. Di certo c’è che all’inaugurazione parteciperà un plotone di sindaci: quello di New York e quello di Torino Sergio Chiamparino, perché nel capoluogo piemontese Eataly è nata. Il sindaco di Alba perché è il suo paese natale e quello di Bra, perché lì è nato Slow Food. Il sindaco di Barolo, che è il re dei vini italiani, e quello di Novello: 840 abitanti, incluso Farinetti. Tutti insieme davanti al nastro da tagliare. E poi? “Il negozio si aprirà, entrerà la gente”. La cosa che conta davvero per il “mercante di utopie”, come l’ha battezzato nel suo libro Anna Sartorio, raccontandone la parabola esistenziale: da fondatore della catena di elettrodomestici UniEuro, da pioniere del low cost nell’elettronica con l’istinto della comunicazione nel sangue, tanto da affidare le sue campagne sull’ottimismo a un contagioso Tonino Guerra, a patito della filiera corta, supporter del lavoro dei contadini, fanatico dell’integrità dei cibi. Al punto da mollare tutto, rimettere a nuovo una vecchia fabbrica torinese di vermouth. Da lì inaugurare un altro business. E, ora, declinarlo nel mondo.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Pubblicato su