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L'espresso

Assassino fu il vino … Montalcino. Le cantine. Le vigne. È in questo ambiente che matura un noir enologico. Scritto da Giovanni Negri, già segretario del Partito radicale… Seduti al tavolo di un ristorante, due signori discutono a voce alta. “Dimmi almeno come mi fai morire”, sbotta I’enologo-scrittore Roberto Cipresso. L’altro, a malincuore, confessa: “Con un laccetto intorno al collo”. L’altro è Giovanni Negri. Negli anni Ottanta segretario del Partito radicale, a lungo parlamentare italiano ed europeo, oggi autore del noir enologico “Il sangue
di Montalcino” (in uscita il 6 dicembre, Einaudi. Stile libero). Un thriller in piena regola: perché c’è il sangue, il brulichio di personaggi tutti potenzialmente killer, e un detective di quelli destinati a farsi amare: il commissario Covacich, italiano-istriano, uomo di frontiera, istinto nell’intuire e
autocontrollo nell’agire. Astemio, ça va sans dire. Intorno, i tic, le manie, i modi di parlare dei fanatici del vino: quelli che più che case hanno cantine, che se dici Francia hanno in mente
un Paese fatto di Beaune, Còte des Nuits, Pommerol. Un circolo a parte, raccontato dall’occhio irriverente di chi sa di farne parte. “Una decina d’anni fa sono tornato nelle terre della mia famiglia, innamorandomi del vino”, racconta Negri che a Serradenari, nelle Langhe piemontesi, produce Barolo e Pinot nero: “Da una vita frenetica piena di impegni sono Passato a riscoprire una diversa
concezione del tempo. Una quotidianità fatta di abiti pratici, contiguità con gli animali, semplicità, che mi ha conquistato”, racconta, quasi fosse il protagonista di “Un’ottima annata”, quel Russell Crowe catapultato per caso in Provenza dalla city londinese, che cambia vita tra emozioni nuove e vigneron. “Dentro questo libro c’è molto di vero”, dice. E una girandola di amici aleggia nella
storia, spesso col proprio nome: giornalisti, esperti di vino, produttori, persino il più potente
e raffinato agente letterario italiano proietta di tanto in tanto la sua sagoma (“Avete presente le apparizioni di Hitchcock?”). T anto per cominciare, somiglia maledettamente a Cipresso – winemaker tra i più famosi - la vittima: l’enologo-alchimista Roberto Candido. Vero è tutto il resto:
l’Abbazia di Sant’Antimo e il ristorante Boccon di Vino di Montalcino; i nomi dei personaggi e tutte le fermate, dalla val d’Orcia alle Langhe. Riconoscibile è anche il dubbio: da dove arriva la prima uva, il primo grappolo, la vite Madre di tutte le viti del mondo? Quale scoperta o peccato originale lo ha trasformato in simbolo, elemento del mito e leit motiv della vita? Intorno a questa ossessione, neo Graal che tormenta il protagonista, Negri costruisce il libro: occasione per viaggiare lungo le traiettorie accertate d’origine del vino - la Colchide, cioè la moderna Georgia, la Persia, la Mesopotamia. E Roma, caput vini. E divagare: parteggiare per la cultura classica e istintivamente spargere erudizione per le pagine. Comporre e scomporre pozioni, studiare gli innesti e le possibilità. Come gli scambi di coppia, che in enologia non alludono a pratiche sessuali, ma al fascino di trasferire un vitigno in una terra lontana da quella d’origine. Un libro tecnico? Nient’affatto. Certo: in controluce ci sono i dilemmi sulle barriques che spaccano il mondo del vino, sulle origini dello zinfandel, considerato californiano, invece con Dna italiano. Ma sono ritmo della narrazione e atmosfera a prevalere: l’una mutuata dalla tradizione del giallo psicologico classico, alla Agatha Christie, l’altra da maestri come Fruttero&Lucentini. A mistero chiuso resta il fascino degli interrogativi aperti: se non ci fossero stati i divieti religiosi, che vini sarebbero quelli prodotti nelle terre dell’Islam?

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