02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024

L'espresso

Monsieur Champagne ... Paul-François Vranken è un mito tra i viticoltori. In dieci anni ha ridato lustro al marchio Pommery. Lo abbiamo incontrato... A trenta metri sottoterra, guardando sopra la testa la cupola panciuta che si assottiglia verso la piccola botola illuminata dal sole, ci si figura di poter risalire in superficie attraverso quel gigante collo di bottiglia, esplosi dalla forza misteriosa che respira lì sotto. Il pozzo - uno dei tanti - è stato scavato nel profondo strato di gesso dai romani, poi a metà Ottocento madame Louise ha messo in comunicazione le cave con una rete di gallerie e ne ha fatto il ventre materno in cui far maturare il suo champagne, il Pommery. L’astuta vedova, il cui ritratto in gramaglie campeggia all’imbocco delle cantine, appare trasfigurata in una sinuosa fanciulla liberty sull’etichetta della Cuvée Louise, il prodotto più pregiato della maison, 150 euro a bottiglia: celebrazione meritata, visto che ha inventato il “brut” per far contenti gli inglesi ed è stato un successo planetario, e ha fondato un’impresa che sfida il tempo. Eppure una diecina d’anni fa Pommery era nel punto più basso della storia: vendite dimezzate, immagine appannata. Surclassato dall’altra vedova, Veuve Cliquot, che la strategia commerciale di Lvmh, la maison del lusso proprietaria di entrambi i marchi, aveva deciso di privilegiare. È a quel punto che entrano in campo i Vranken. Lui, Paul-François, un Gérard Depardieu ambizioso e bon vivant; lei, Nathalie, una Catherine Deneuve dallo chignon biondo e molta concretezza. In quel di Reims ci sono già, ma con uno champagne di minor prestigio. Fanno un’offerta (mai rivelata) al patron di Lvmh Bernard Arnault, e comprano a scatola chiusa. “La prima cosa che abbiamo fatto è stato camminare per nove ore per conoscere tutta la proprietà”, dice Nathalie Vranken: 55 ettari tra vigneti e fabbricati, come dire a Parigi les Tuileries, piace de la Concorde e gli Champs-Elysées messi insieme. Oggi la maison, che nel 2011 compie 175 anni, è di nuovo in grande spolvero. E Paul-François può vantarsi: “Da1 1974 mi è riuscito tutto: non mi sono mai sbagliato nella vita d’impresa”. Una spacconata, se non fosse che monsieur Vranken, belga trapiantato, da dipendente di un commerciante di vini oggi è diventato il più grande vigneron d’Europa. Dal pallino per lo champagne è passato a quello per i vini portoghesi (nella valle del Douro), a quelli di Provenza, a quelli della Camargue: totale, oltre 7 mila ettari sotto il suo controllo e un fatturato di 364,4 milioni di euro nel 2010, per il 75 per cento dovuti allo champagne. Nel 1996. la decisione di andare in Borsa (“Per ottenere i fondi necessari a rilevare Heidsieck Monopole”, altra casa storica, fondata nel 1785), conquistando 10 mila azionisti ma tenendosi ben stretto il 75 per cento del capitale, come ben stretta si tiene la collezione di 300 mila bottiglie antiche, tutti i più grandi millésimes del mondo, che consentirebbero un’esperienza straordinaria per gli enologi, cioè una “trasversale” dello champagne, tante bottiglie diverse in crescendo ma dello stesso anno. Collezione stimata sui 100 milioni di euro e per la quale è stata restaurata e allestita la grande cantina della Villa Demoiselle a Reims, un gioiello art nouveau non lontana dalla cattedrale dove venivano incoronati i re di Francia, e che festeggia i suoi 800 anni. Ma la vita, nella Champagne, è fatta innanzitutto di cura continua della vigna. E questo è un mestiere da professionisti. Così, “l’uomo che parla ai grappoli” che scruta ogni mattina la vita delle piante, è lo “chef de cave” Thierry Gasco, l’enologo capo che seleziona le vigne che meritano di produrre la Cuvée Louise, e che a fine maggio sta in trepidazione finché non capisce dai fiori come sarà il raccolto, fotografa e invia sul cellulare quell’incerto grappolo in transizione a Vranken, messaggio del nuovo Pommery in cammino. Non che si possa produrre quanto si vuole: “La regione ha le sue regole, autonome e severissime, che servono per vendere sempre tutto quello che si produce, e per garantire a tutti i protagonisti, da chi lavora la vigna a chi lavora in cantina, il giusto profitto”, spiega Vranken. I vignerons sono 17 mila, le famiglie padrone delle maison non più di dieci, per cento etichette diverse. “È per questo che la regione si è data una specie di suo Parlamento: 12 persone, tra cui oggi anche io, che da anni decidono come ripartire la ricchezza dello champagne, cioè gli utili dell’attività: piùo meno il 62 per cento alle maison e il resto ai vignerons”, chiarisce Pau1-François. “Una specie di Opec”, insomma, scherza Nathalie. E in effetti né lo Stato francese né Bruxelles mettono becco su questo sistema di protezione del marchio e dei profitti basato sulla quantità prodotta, che permette di controllare il prezzo e di non avere mai nulla di invenduto. Il prossimo 12 luglio il comitato esecutivo dei produttori si riunirà per fare il bilancio sull’anno
passato e decidere il rapporto tra stock e bottiglie messe sul mercato. Come va il trend? “È vero che rispetto alla frenata di un anno e mezzo fa il mercato si è ripreso, ma non vedo un grande entusiasmo”, anticipa Nathalie. Eppure le vendite crescono. Ma i grandi consumatori restano in patria: su 320 milioni di bottiglie circa, 185 si stappano in Francia, tre a testa contro poco più di una bottiglia ogni dieci persone da noi. È vero però che noi, in Italia, abbiamo una nostra tradizione di ottimi vini con le bollicine. “Certo”, osservano i Vranken, “ed è proprio questo che rende l’Italia interessante: per voi è importante quello che c’è nel bicchiere, e date importanza al “savoir faire””. E il nostro limite? “La regionalizzazione molto spinta dei prodotti: in ogni area del Paese si tende a consumare il vino locale. Da voi è molto più importante il “vignoble”, il tipo di vigneto, piuttosto che il produttore”. Risultato, anche se noi annunciamo trionfalmente di aver superato la Francia come produttori di vino, resta la nostra debolezza commerciale: “Nel mio portafoglio non può funzionare un vino italiano, perché se volessimo venderlo i nostri agenti avrebbero difficoltà a imporre un vino campano in Veneto”, dice madame. Che segnala un altro nostro limite: quello di non offrire un giusto set - una mostra, un evento - da abbinare all’immagine del suo Pommery, che lei ha voluto legare soprattutto all’arte contemporanea. Nelle cantine di Reims, infatti, hanno trovato il loro habitat opere d’arte luminose, istallazioni gigantesche che riempiono in modo sorprendente il labirinto a dieci gradi di temperatura e 90 per cento di umidità, firmate da artisti di ogni Paese. La prossima mostra - prevista per l’autunno - si ispira alle macchine sonore, e Thierry Gasco è già in allerta: tocca a lui difendere le cave dal rumore eccessivo che potrebbe disturbare il sonno prezioso dei 25 milioni di bottiglie di Pommery nel ventre di gesso. Non c’è dubbio che ci riuscirà.


Chi se lo beve


Vendite di bottiglie da 75 cl

Totale 2010: 319.510.832

Francia: 184.998.231

Unione Europea: 80.783.422

Paesi Terzi: 53.729.179


Distribuzione nei principali Paesi europei

Regno Unito 35.488.401

Germania 13.076.153

Belgio 8.806.008

Italia 7.183.113

Svizzera 5.442.295

Spagna 3.689.307

Paesi Bassi 2.474.876

Svezia 2.272.714

Austria 1.109.499

Danimarca 893.789

Lussemburgo 697.840

Finlandia 695.870

Norvegia 685.943

Portogallo 461.594

Irlanda 421.068

Grecia 303.866

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Pubblicato su