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L’export di vino dal Veneto vale il 30% del totale Italia: nel 2015, 1,83 miliardi di euro (+10% sul 2014), grazie soprattutto al boom del Prosecco. Uk, Usa e Germania i mercati top. A dirlo l’analisi di Veneto Agricoltura

Se l’export del vino italiano, nei primi 5 mesi del 2016, è cresciuto del 4% sul 2015, secondo i dati
di Wine Monitor di Nomisma, e va a caccia di un nuovo record, un grande ruolo lo giocherà il Veneto, la Regione del vino italiano più importante dal punto di vista delle esportazioni. Tanto che,
nel 2015, i vini “made in Veneto” hanno contribuito per il 30% agli oltre 5,4 miliardi di euro totalizzati dal Belpaese, con 1,83 miliardi di euro, +10% sul 2014, grazie alla crescita impetuosa del Prosecco, ma anche a quella, seppur contenuta, dei vini fermi. A ribadirlo l’analisi di Veneto Agricoltura, sui dati forniti dalla Sezione Sistema Statistico della Regione, che evidenzia come “nel 2015 le vendite di vino veneto all’estero sono aumentate del +9,8% sul 2014 in valore, raggiungendo, dopo sei anni consecutivi di crescita, un fatturato record di 1,83 miliardi di euro. Un risultato dovuto sia all’incremento della quantità esportata, salita a 641 milioni di litri (+3,6%) che, soprattutto, all’aumento del prezzo medio vendita, cresciuto a 2,86 euro al litro (+6%). Esaminando l’andamento delle esportazioni di vino veneto nell’ultimo quinquennio si osserva che esse si sono assestate intorno a una quantità di 6-6,5 milioni di ettolitri, variabile in base all’andamento della vendemmia e alla possibilità di realizzazione di nuovi impianti, mentre il valore esportato è aumentato del +38% in cinque anni, in forza del proporzionale incremento del prezzo medio di vendita (+39%)”.

Un exploit, va sottolineato, in gran parte dovuto al successo del Prosecco nei paesi anglosassoni, mentre le altre tipologie di vino hanno sostanzialmente mantenuto le posizioni acquisite. Nel 2015 per le bollicine trevigiane, sia la quantità esportata che il relativo valore sono cresciute del 31%, mentre il prezzo medio, pari a 3,53 euro al litro, ha registrato solo un lieve incremento (+0,8%). Il successo del Prosecco all’estero ha determinato un significativo aumento della quota di mercato degli spumanti, che in un solo anno è salita dal 25% al 30% del totale esportato, erodendo 4 punti percentuali ai vini fermi in bottiglia, scesi dal 68% al 64%, e un punto percentuale al vino sfuso, la cui quota è calata dal 7% al 6%.
E tra Prosecco, Soave, Amarone della Valpolicella e così via, quello del Veneto è un vino davvero “globale”: ben 157 sono i Paesi che hanno importato vino dalla Regione. “Tuttavia la maggior parte delle vendite - sottolinea il report - si concentra in un numero di paesi relativamente ristretto. Le destinazioni che detengono una quota di mercato uguale o superiore all’1% sono 15, mentre i primi 3 paesi in graduatoria (Uk, Usa e Germania) coprono da soli il 55% del mercato, e i primi 10 mettono insieme l’83%. Nel 2015 si è osservata una novità nelle prime posizioni della classifica relativa al valore. Con un incremento del 28,6% su base annua il Regno Unito è balzato dal terzo al primo posto in classifica, scalzando la Germania (+0,8%) e mantenendo in seconda posizione gli Stati Uniti (+14,2%).
Tra gli altri Paesi si osserva una buona crescita di Canada, Svezia, Norvegia e Paesi Bassi, mentre calano Danimarca, Austria e soprattutto Russia (-18%). In forte aumento anche la Cina (+40%) che tuttavia presenta una quota di mercato ancora troppo esigua per essere significativa. L’analisi dei dati sulle destinazioni disaggregati per tipologia di prodotto mettono innanzitutto in evidenza che il mercato dei vini spumanti appare più concentrato, poiché i primi 3 paesi detengono una quota pari al 65% del totale. Eccezionale l’incremento su base annua osservato nei paesi anglosassoni. Nel Regno Unito, dove il Prosecco già nel 2014 aveva superato lo Champagne in termini di valore importato, imponendosi come spumante preferito dai britannici, la crescita è a livelli quasi esponenziali: +60% nell’ultimo anno e +500% dal 2011 al 2015. Negli Stati Uniti l’andamento è analogo, sebbene con tassi di incremento inferiori (+32% sul 2014 e +180% sul 2011).

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