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L’INTERVENTO - FEDERICO VECCHIONI, PRESIDENTE DI CONFAGRICOLTURA: “CON PIÙ RICERCA IN AGRICOLTURA MENO FAME NEL MONDO”

Raccogliamo e volentieri pubblichiamo l’interveto di Federico Vecchioni, presidente di Confagricoltura, nella giornata di studio “Scienza e Agricoltura”, promossa oggi dalla organizzazione delle imprese agricole italiane:

“Il futuro del settore agroalimentare italiano si gioca sulla capacità di innovare e di utilizzare al meglio i risultati della ricerca più avanzata. Per questo motivo Confagricoltura, l’organizzazione che sul fronte dell’occupazione garantisce 24 milioni di giornate di lavoro dipendente all’anno, ha voluto realizzare questa giornata di studio dedicata a “Scienza e Agricoltura”.
Il progetto è di rendere annuale questo appuntamento, fissato per il 2009 al 15 luglio, allo scopo di consentire un periodico approfondimento con esponenti di prima grandezza del mondo scientifico e legare così in permanenza il mondo della ricerca alle strategie di un comparto produttivo strategico per l’economia nazionale e globale. A livello mondiale, infatti, il recente rapporto previsionale Ocse-Fao sull’agricoltura (Outlook 2009-2018) indica come premessa che le rese delle principali coltivazioni e delle produzioni zootecniche sono continuate ad aumentare ininterrottamente da circa mezzo secolo. In questa crescita l’innovazione frutto della ricerca ha avuto un ruolo di primissimo piano.
Oggi in Italia l’agricoltura, se si considerano tutte le attività a monte e a valle della produzione primaria, incide per quasi il 16% sulla formazione del Pil. Il contributo del settore alla crescita del Paese è quindi particolarmente evidente in questa fase recessiva, mentre tutte le altre attività economiche, compresi i servizi, mostrano una brusca flessione. Insomma, l’agricoltura dimostra la sua funzione anticiclica di enorme importanza, riflessa anche dall’incidenza diretta ed indiretta del sistema agroindustriale sul complesso dell’economia nazionale.
Va ricordato che il settore è stato in grado di far fronte alle esigenze alimentari di una popolazione cresciuta dai 54 milioni di abitanti del 1970 agli oltre 60 milioni stimati nel novembre 2008. Un aumento dell’11% in 30 anni a cui l’agricoltura e le imprese alimentari hanno risposto non solo con un aumento della produttività, ma anche garantendo una migliore qualità e salubrità dei cibi.
Tutto ciò in un contesto nazionale dove, tra gli anni ’80 ed oggi, mentre la superficie agricola è diminuita, le produzioni, comprese quelle zootecniche, sono aumentate. In un esempio: abbiamo perso circa 3 milioni di ettari di terreni agricoli, pari a circa il 19% della superficie agricola utilizzabile (Sau), ma contemporaneamente la produzione di cereali è aumentata del 16% e quella di carni del 14%.
Questo è stato possibile anche grazie alle attività di ricerca, che si traducono in innovazione e consentono di crescere e progredire con lo sviluppo del Paese. Attività che, per loro natura, danno i loro risultati anche dopo decenni. Le decisioni e gli orientamenti che prendiamo oggi avranno quindi effetto a lungo termine, perciò bisogna avere nelle scelte lungimiranza e respiro strategico, più responsabilità e meno pregiudizi ideologici. La ricerca e l’innovazione sono elementi cruciali nel successo di un’impresa. Innovare è una delle principali sfide dell’imprenditore agricolo per ridurre costi sempre più rilevanti, migliorare i prodotti differenziandoli da quelli dei competitor e guadagnare così posizioni sul mercato”.
Un’indagine eseguita dal Censis per Confagricoltura sulla “minoranza trainante” delle aziende agricole italiane (quelle che rappresentano meno del 30% del totale ed il 90% del valore aggiunto del settore) ha dimostrato che i nostri imprenditori non vivono in modo problematico fattori di competitività, come l’innovazione di prodotto, il miglioramento delle tecniche di coltura, la distribuzione e la commercializzazione. Insomma, per oltre l’80 per cento delle imprese agricole “che contano” il cambiamento innovativo non è un aspetto che determina particolari problemi. Le difficoltà reali del settore sono piuttosto quelle esterne, indipendenti dalla capacità di “fare impresa”, come l’aumento dei costi di produzione (ritenuto “molto critico” dal 74,8% del totale degli intervistati), il costo del lavoro (69,9%) la difficoltà a reperire manodopera qualificata (62,9%) e la burocrazia (55,3%).
Sulla base di queste considerazioni bisogna creare i prerequisiti perché la ricerca possa contribuire in modo sempre più determinante alla crescita del settore. La strada è quella di un coordinamento efficace ed un attività mirata alle necessità degli imprenditori. Va creato un sistema integrato di ricerca e conoscenze sul primario e l’agroalimentare che inneschi un circolo virtuoso di crescita mettendo al centro le esigenze aziendali e facendo delle imprese il motore della domanda di innovazione e il suo utilizzatore finale. Non bisogna smettere di puntare sulla ricerca in agricoltura soprattutto nell’attuale scenario di una competizione aggressiva, dove il reddito dipende sempre più dalla capacità di conquistare e mantenere quote di mercato. Questo per contribuire a migliorare i risultati del settore e nell’interesse del Paese”.

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