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L'unita'

“Dal bio all’immigrazione: ecco la nostra eco-politica” ... Carlo Petrini: ecco Terra Madre dal biologico all’immigrazione... L’inventore di Slow Food e Terra Madre. Una nuova idea di comunità: “L’ambientalismo italiano? Un fallimento. Federalisti? No, direi localisti: a casa nostra ma collegati al mondo”... In un giardino fiorito di orternsie sui colli fiorentini, tra animali di ferro battuto e in carne e ossa, Carlo Petrini, il “primo gastronomo d’Italia”, fondattore di Slow Food e Terra Madre, a tavola con Adriano Sofri e Sergio Staino, declina il suo manifesto politico. “Serve un nuovo umanesimo. Nuove idee. La socialdemocrazia è finita: se ne sono accorti i francesi, i tedeschi, toccherà anche a noi”. L’obiettivo, allora, diventa di senso comune: “Salvare il pianeta dal degrado collegato a un sistema produttivo che distrugge la biodiversità e consuma l’acqua”. Prossimo appuntamento: il Terra Madre Day, il 10 dicembre, in 20mila posti del pianeta.

Lei vuole trasformare Terra Madre, rete di produttori agricoli e comunità del cibo sparse in tutto il mondo, in soggetto politico. Come?

“Oggi la strategia è allargare il nucleo decisionale mondiale dal G8 al G20. L’idea è aprire alle organizzazioni e non solo agli Stati. Dare titolo di intervenire a Greenpeace e Wwf sull’ambiente. Ad Amnesty sulla giustizia. E a Terra Madre sull’agricoltura. Combattiamo una guerra quotidiana contro le multinazionali”.

Crede che qualcuno la ascolterà?

“So che l’impero della politica è cieco e sordo. Ma c’è fame di democrazia partecipativa. Dappertutto nascono comunità dal basso. Negli Usa la sensibilità è pazzesca, se Wal-Mart mette un’etichetta con i consumi di CO2 dei suoi prodotti”.

Cibi bio, riciclo, mangiar sano, sono considerati lussi di nicchia. Si potrà in venire la tendenza?

“La gastronomia viene considerata un divertissement per élite danarose senza la nobiltà delle grandi battaglie. Invece da noi nelle Langhe se non sai di vino non hai dignità. È come se per la politica il piacere fosse un vizio privato, invece è un diritto. Già nell’ 800 Brillant Savarin teorizzava che la gastronomia riguardasse persino l’economia e l’economia politica. E alcune delle migliori ricette sono nate in tempo di guerra”.

Ha trovato degli interlocutori nel Pd?

“Realacci ci ha provato, ma l’ambientalismo italiano è stato un fallimento. È un problema di tutti i partiti. Questi temi, compreso il destino del mondo, non hanno rilevanza. Non vedo nel Pd un interlocutore, a parte Claudio Martini. Ma quanto conta?”.

Insomma, siete i cavalieri bianchi dei prodotti locali?

“Bisogna intendersi. In Piemonte senza 10mila albanesi il barolo non lo faremmo. Senza 4mila indiani i padani non avrebbero parmigiano. E senza senegalesi niente fontina valdostana. Ce la cantiamo e suoniamo sull’identità gastronomica, ma vediamo chi la fa. Scambio e contaminazione sono importanti”.

A novembre esce il suo libro “Terra Madre. Come non farci mangiare dal cibo”. Che significa?

“Affoghiamo negli sprechi, oltre il 50% del mangiare finisce nella spazzatura. Primo responsabile della distruzione ambientale è la produzione alimentare: allevamenti intensivi, monocoltura, inquinamento delle falde acquifere. Il cibo si mangia l’habitat”.

Soluzioni?

“Individuare i soggetti attivi per cambiare le cose. Produttori e consumatori, che io chiamo coproduttori, uniti nella comunità del cibo. I primi non ti fregano, i secondi non badano solo a strappare il prezzo più basso ma si preoccupano della qualità e dei lavoratori. La comunità serve a ridare l’idea di bene comune”.

Contrapposta a consumismo e individualismo?

“È il luogo dove ognuno trova la sua dimensione e non subisce le imposizioni del mercato. Basata sulla sovranità alimentare, cioè ogni popolo sceglie cosa piantare senza condizionamenti di multinazionali o tasse statali, e sull’economia locale che consente risparmi”.

Un approccio federalista?

“Direi localista o glocal. Ma nell’ottica della rete: a casa mia però collegato con il mondo”.

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