Una doccia fredda per il settore dell’agricoltura. La bozza sul Recovery Plan “italiano”, lo strumento scelto per far ripartire l’Europa dopo la pandemia da Coronavirus, non premierebbe l’agroalimentare, uno dei comparti di punta del Made in Italy. Ad alzare la voce, contro le scelte del Governo, c’è anche Teresa Bellanova, ministra delle Politiche agricole e capo delegazione di Iv al Governo. Ai microfoni di “Radio 24”, la Bellanova ha spiegato che nelle tredici cartelle del Recovery Plan c’è “solo una sintesi ma ci sono problemi per il mio Ministero, con interventi mancanti su agricoltura e tutela del territorio, per filiere e meccanizzazione servono almeno 4 miliardi”.
La mancanza di risorse per il settore preoccupa e finisce sotto accusa. Secondo il presidente di Coldiretti Ettore Prandini, “con i tagli all’agroalimentare si ferma la decisa svolta verso la rivoluzione verde in atto nel Paese che rappresenta l’obiettivo degli stessi fondi comunitari”. Prandini non ci sta e vede una occasione persa per il futuro. “Vengono tolte incomprensibilmente risorse per la crescita sostenibile dalle filiere produttive alle foreste urbane per mitigare l’inquinamento in città, dagli invasi nelle aree interne per risparmiare l’acqua alla chimica verde e alle bioenergie per contrastare i cambiamenti climatici.Chiediamo spiegazioni al Governo sul cambio di strategia in un momento in cui proprio l’emergenza globale provocata dal coronavirus ha fatto emergere una consapevolezza diffusa sul valore strategico rappresentato dal cibo e sulle necessarie garanzie di qualità e sicurezza”. Il timore è quello che non venga tutelata “una risorsa da primato mondiale” ma che “deve investire per superare le fragilità presenti, difendere la sovranità alimentare e ridurre la dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento in un momento di grandi tensioni internazionali”.
Un patrimonio, quello dell’agricoltura italiana, che Coldiretti ha ricordato essere il più green d’Europa e che può contare su 311 specialità a denominazione di origine (Dop/Igp) riconosciute a livello comunitario e 415 vini Doc/Docg. E poi 5.155 prodotti tradizionali regionali censiti lungo la Penisola, la leadership nel biologico con oltre 70.000 aziende agricole e il primato della sicurezza alimentare mondiale. Ricchezza che si traduce nella conservazione del paesaggio ma anche in posti di lavoro e nuove imprese come dimostra il boom di nascite di nuove imprese agricole under 35 negli ultimi cinque anni (+14%).
La nuova bozza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha acceso qualche malumore anche nel settore della ristorazione, già alla prese con una crisi durissima causata dalle restrizioni anti-Covid.
Secondo Fipe/Confocmmercio, la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, “la nuova architettura del Recovery Plan, cristallizzata nelle linee di indirizzo diffuse dal Mef, prevede un incremento dei fondi a sostegno del Turismo e della Cultura che passano da 3,1 a 8 miliardi di euro. E questa è un’ottima notizia. Attenzione però a non dimenticarsi della ristorazione. Se così fosse, sarebbe un danno enorme, visto che questa con 21 miliardi di euro negli anni pre pandemia rappresenta la seconda componente di spesa per i turisti e addirittura il servizio maggiormente apprezzato da parte degli stessi. Un’eccellenza assoluta che deve essere valorizzata soprattutto ora che il turismo necessita di un’azione di forte rilancio.Non dimentichiamoci - aggiunge Fipe/Confcommercio - che uno degli obiettivi del Recovery Plan, così come disposto dall’Unione Europea, è quello di aumentare del 10% l’occupazione in Italia, oltre a promuovere la filiera agroalimentare e ridurre lo spreco di cibo. La ristorazione dà lavoro ogni anno a 1,3 milioni di persone, il 52% delle quali donne, e genera un valore aggiunto pari a 46 miliardi di euro. Un patrimonio da non disperdere ma, appunto, da valorizzare”.
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