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ENOGASTRONOMIA E CULTURA

La “Cerca e cavatura del tartufo in Italia” è Patrimonio Culturale Immateriale Unesco

Via libera alla tutela dell’antica arte che vede uniti “trifulau” e cani alla ricerca del più pregiato frutto del bosco, perla del made in Italy

L’arte antica dei “trifulau”, che con la loro sapienza, la conoscenza dei territori e i loro preziosissimi alleati, i cani, è ufficialmente patrimonio dell’Umanità. Perchè l’Unesco, oggi a Parigi, ha dato il suo ok all’iscrizione della “Cerca e cavatura del tartufo in Italia: conoscenze e pratiche tradizionali” nella Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale Unesco. Presentata dall’Italia, ed in particolare, sottolinea il portale della stessa Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, dalla Federazione Nazionale Tartufai Italiani (Fnati) e dalle Città del Tartufo (Anct).
Un riconoscimento importante che dà ulteriore prestigio ad uno dei più pregiati frutti del bosco, di cui l’Italia è leader, e che in tanti territorio è già grande attrattore di turismo enogastronomico di alto livello, in particolar mondo nella Langhe del Barolo e del Barbaresco, e del Tartufo Bianco di Alba, o nella Valdorcia del Tartufo Bianco di San Giovanni d’Asso e delle Crete Senesi e del Brunello di Montalcino, già a loro volta territori patrimonio Unesco. Senza dimenticare i tanti altri importanti distretti del tartufo italiano, dall’Umbria a San Miniato, in provincia di Pisa, ad Acqualagna, nelle Marche, per citare i più famosi.

“Il Comitato, nell’adottare la decisione, ha invitato l’Italia a prestare attenzione al rischio di una potenziale eccessiva commercializzazione e a garantire la sorveglianza e la buona gestione delle attività turistiche. Il Comitato raccomanda inoltre di tenere in considerazione il benessere del cane sia nell’ambito delle attività di cerca e cavatura del tartufo che durante la pianificazione e l’attuazione delle misure di tutela. L’ultimo suggerimento dato è la condivisione delle esperienze di tutela con altri Stati con caratteristiche simili”, spiega l’Unesco. Grande soddisfazione per il riconoscimento è stata espressa dall’Ambasciatore Massimo Riccardo, Rappresentante Permanente dell’Italia all’Unesco, che ha poi lasciato la parola alla Sottosegretaria di Stato alla Cultura, Lucia Borgonzoni, che ha sottolineato come il Ministero continuerà a essere vicino alle comunità coinvolte, affinché siano sempre seguite le pratiche corrette”.
“Siamo entusiasti di questo risultato, finalmente ce l’abbiamo fatta - ha commentato Michele Boscagli, presidente di Anct -, la Cerca e cavatura del tartufo in Italia è diventata Patrimonio culturale immateriale dell’umanità. Otto anni di lavoro sono stati apprezzati, è stato un percorso che, grazie alle istituzioni competenti, ha dato l’opportunità a tutti i soggetti coinvolti di comprendere l’importanza di salvaguardare saperi e conoscenze della tradizione dei tartufai italiani. Un patrimonio collettivo, prezioso anche per le generazioni future, che va ben oltre il valore del prodotto in sé”.
“È un obiettivo che ci eravamo posti e dopo un lungo lavoro siamo riusciti a raggiungerlo - ha precisato Fabio Cerretano a nome delle associazioni dei tartufai italiani - la Cerca e cavatura del Tartufo è un grande patrimonio culturale immateriale tramandato di generazione in generazione fatto di storia, di cultura e di tradizioni che abbraccia tutta l’Italia, da nord a sud, e ora ottiene questo prestigioso riconoscimento dall’Unesco. Un sogno che finalmente si avvera”.
L’arte della ricerca del tartufo, secondo i dati Coldiretti, coinvolge in Italia una rete nazionale composta da 73.600 detentori e praticanti, chiamati tartufai, riuniti in 45 gruppi associati nella Federazione Nazionale Associazioni Tartufai Italiani, da singoli tartufai non riuniti in associazioni per un totale di 44.600 unità e da altre 12 Associazioni di tartufai che insieme alle Città del Tartufo coinvolgono 20.000 liberi cercatori e cavatori. Dal Piemonte alle Marche, dalla Toscana all’Umbria, dall’Abruzzo al Molise, ma anche nel Lazio e in Calabria sono numerosi i territori battuti dai ricercatori.
“La ricerca dei tartufi praticata già dai Sumeri - ricorda la Coldiretti - svolge una funzione economica a sostegno delle aree interne boschive dove rappresenta una importante integrazione di reddito per le comunità locali, con effetti positivi sugli afflussi turistici come dimostrano le numerose occasioni di festeggiamento organizzate in suo onore. Il tartufo è un fungo che vive sotto terra ed è costituito in alta percentuale da acqua e da sali minerali assorbiti dal terreno tramite le radici dell’albero con cui vive in simbiosi. Nascendo e sviluppandosi vicino alle radici di alberi come il pino, il leccio, la sughera e la quercia il tartufo, deve le sue caratteristiche (colorazione, sapore e profumo) proprio dal tipo di albero presso il quale si è sviluppato”.
Un riconoscimento, quello Unesco, arrivato in una stagione particolarmente avara, a livello di quantità, per il tartufo, ed in particolare per il tartufo bianco, che ha raggiunto quotazioni da capogiro. Secondo il Centro Nazionale Studi Tartufo, quello Bianco di Alba viaggia mediamente sui 4.800 euro a chilo (per pezzature da 15-20 grammi), mentre quello di Acqualagna si muove tra 2.100 e 4.000 euro al chilo, e quello di San Giovanni d’Asso e delle Crete Senesi, secondo i cavatori, oscilla tra i 3.500 ed i 5.500 al chilo, a seconda della pezzatura.

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