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LA GEORGIA CERCA NUOVI MERCATI PER I VINI, DOPO L’EMBARGO DI MOSCA, PRIMA DESTINAZIONE (60 MILIONI DI BOTTIGLIE), E LA “CONDANNA” DELLE ESPORTAZIONI (POCO PIU’ DI 10 MILIONI DI BOTTIGLIE NEL 2009). E I PRODUTTORI DI QUALITA’ GUARDANO AL BELPAESE ...

Il 2005? Un’annata disastrosa. Quando si parla di vino in Georgia l’anno in questione è considerato una vera catastrofe. Non certo per la qualità, quanto perché da quella data il mercato con la Russia è stato chiuso: Mosca, causa i rapporti politici difficili con il presidente Mikhail Saakashvili, ha decretato allora un embargo che è suonato come una condanna a morte per le esportazioni georgiane. “Se prima venivano esportate in giro per il mondo e cioè soprattutto in Russia, 60 milioni di bottiglie all’anno, ora, con lo stop di Mosca, la Georgia esporta poco più di 10 milioni di bottiglie. Nel 2009 sono stati 12”, spiega Archil Gremelaschvil, dell’amministrazione comunale di Telavi, capoluogo della regione di Khaketi, nell’estremo orientale della Georgia. Qui l’economia gira, ora molto lentamente, intorno al vino e da qui arriva circa il 70% di tutta la produzione del Paese. E un’arma vincente per la Georgia potrebbe essere l’alta qualità e la produzione limitata, anziché quella di massa del passato utilizzata per soddisfare le richieste di Mosca, ed i produttori di qualità guardano alle tecnologie del Belpaese.
Il tracollo del 2005 ha messo in difficoltà soprattutto i produttori della regione, ma non solo loro. Difficile trovare nuovi mercati per sostituire quello russo, anche se qualche spiraglio si sta aprendo. Per Archil Gremelaschvil, forse con un pizzico di ottimismo, Stati Uniti e Cina potrebbero in futuro andare a compensare le perdite sul fronte russo: “i problemi con la concorrenza sono enormi - sottolinea - non certo per la qualità offerta, visto che molti vini georgiani hanno ottenuto anche recentemente importanti riconoscimenti internazionali, quanto per pure questioni di marketing. Abituati a dormire sul cuscino rosso, ora gli esportatori georgiani devono rimboccarsi le maniche”.
Le basi ci sono, visto che molti dei vitigni georgiani (ci sono circa 500 varietà autoctone, tra le più conosciute, Rkhasiteli, Saperavi, Mtsvani, Alenadrouli, quello utilizzato per la produzione del Khvanchkara, il rosso preferito da Stalin) non temono la concorrenza dei più conosciuti e tradizionali francesi e italiani. Tra i nuovi produttori che vanno nella direzione dell’alta qualità a frote di una produzione limitata, c’è anche Sandro Bagrationi, uno dei rampolli dell’omonima dinastia che ha legato il suo destino con quello della storia della Georgia. Il ramo principale dei Bagrationi, quello della famiglia reale che ha regnato sino all’inizio del 1800, è imparentato con la famiglia italiana degli Orsini. Bagrationi ha ereditato la passione per il vino da un suo antenato, Zakaria Jorjadze, che dal 1887 si mise a produrre vino vicino a Tsinandali, nei pressi di Telavi. Dopo l’indipendenza della Georgia da Mosca nel 1991 la casa vinicola ha attraversato un periodo di difficoltà, dovuto anche ai conflitti nelle regioni limitrofe del Caucaso, ma è stata ripresa in mano nel 2003 dal quarantenne Sandro che si è messo sotto e oggi porta sul mercato nazionale e internazionale con il marchio Eniseli-Bagrationi vino, spumante e anche chacha, una specie di vodka georgiana. Le premesse ci sono, considerando anche il fatto che oltre alla parentela italiana, anche le tecnologie delle sue cantine sono rigorosamente made in Italy.

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