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Vino - Export negli Usa sfonda il muro del miliardo di dollari ... Forse non è un caso che a vent’anni dall’unico vero grande scandalo alimentare nella storia dell’Italia repubblicana - quello del vino al metanolo, che causò 23 decessi - siamo qui a celebrare il perdurante boom del settore più vivo e vitale dell’agroalimentare made in Italy, il nostro vino appunto, che nel 2005 ha battuto un altro record, superando il muro di 1 miliardo di dollari di export negli Usa, con un incremento dell’11,4% in 12 mesi.

Metanolo vero scandalo tutto nostro, dicevamo. Sì perché mucca pazza l’abbiamo importata, dei vari polli e maiali alla diossina in Italia non v’è stata traccia mentre l’influenza aviaria va derubricata a sconvolgente fenomeno di costume: l’influenza non c’è nei nostri allevamenti, si è solo alimentata una psicosi che ha fatto crollare i consumi.

Il nostro vino dunque va. Nonostante il calo dei consumi, nonostante l’incalzante concorrenza internazionale, nonostante il ritorno dei francesi, che hanno abbassato la cresta e si sono messi a fare prodotti di seconda e terza linea dietro i grandi crus. “Il vino - parola di ministro Alemanno - si è affermato negli anni come uno dei più autorevoli ambasciatori dell’Italia nel mondo. Questo risultato, vent’anni dopo lo scandalo del metanolo e pochi giorni dopo l’approvazione definitiva della legge quadro, fa ben sperare per le prospettive del settore”.

I nostri vignaioli danno lezioni a tutti, a conferma delle straordinarie capacità di reazione del nostro paese, quando tocca il fondo. Dal metanolo ad oggi siamo diventati i primi esportatori mondiali di vino con un valore di 2,8 miliardi di Euro (+250 per cento rispetto al 1986) che ha contribuito a portare il fatturato del settore nel 2005 a 9 miliardi di euro (+260 per cento rispetto al 1986) grazie anche al raddoppio del numero di vini certificati come Doc, Docg e Igt che nel 2005 sono 460 rispetto ai 228 dell'86.

Risultati incredibili, tanto più se messi a confronto con la debàcle subita in altri settori del nostro agroalimentare, primo fra tutti l’ortofrutta dove - da primi esportatori europei - siamo a rischio di veder andare in rosso la bilancia commerciale, col ‘buco nero’ degli agrumi dove siamo diventati importatori netti. Quale allora la ricetta?

“Dalla quantità alla qualità e ai legami col territorio: il rinascimento del vino italiano dopo il metanolo è figlio di questa coraggiosa riconversione”, sottolinea Ermete Realacci, presidente di Symbola, Fondazione per le qualità italiane, che assieme a Coldiretti e Associazione nazionale città del vino hanno celebrato il Rinascimento enologico dell’Italia con un convegno, un dossier e una serie di iniziative nelle tante città del vino d’Italia.

“Negli Stati Uniti abbiamo lavorato bene e adesso si raccolgono i frutti di una azione impostata sulla qualità, sul giusto rapporto qualità-prezzo, su una efficiente distribuzione”, spiega Enrico Viglierchio, direttore generale di Castello Banfi, l’azienda della famiglia italo-americana Mariani, n. 1 nell’export di Brunello verso gli Usa. Gli americani sono sempre più stregati dal Brunello: una bottiglia su quattro del celebre rosso prodotto a Montalcino viene stappata negli Stati Uniti, che assorbono il 25% dell’export totale. Proprio mentre vanno in commercio le nuove annate (in questo fine settimana a “Benvenuto Brunello”, kermesse che attira importatori, buyers e giornalisti di tutto il mondo, saranno presentati il millesimo 2001 e la Riserva 2000), Viglierchio riassume la formula vincente anche per il futuro: “Mantenere la nostra identità contro la concorrenza mondiale che propone vini standardizzati; comunicare il territorio, vero valore aggiunto dei nostri vini, e non mollare sulla qualità, che non deve essere mai data per scontata”.
Chi fa bene, viene premiato dai mercati. E’ il caso del Giv, Gruppo Italiano Vini, prima azienda vinicola italiana con 290 milioni di fatturato, 15 cantine sparse in tutta Italia, quasi il 70% di export, un +7,7% di crescita anche in un anno difficile come il 2005. “Negli anni abbiamo investito molto in vigneto e in cantina, con grande attenzione ai costi di produzione”, dice Emilio Pedron, ad del Gruppo Giv. “E sui mercati principali siamo presenti con distributori da noi controllati. Vogliamo tenere in mano il prodotto il più a lungo possibile, per fare noi le politiche commerciali anche sui mercati più lontani”. Altro tassello importante di un successo tutto costruito dai privati, senza una lira di finanziamento pubblico, senza particolari sovvenzioni dalla Comunità. Il vino simbolo dell’altra Italia, quella che compete e ‘ce la fa’.

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