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La Nazione / Il Giorno / Il Resto Del Carlino

Un cin cin con la storia ... Ci sono dei legami che appartengono alla leggenda, altri al presente e, almeno uno, speriamo, al futuro. Per un caso singolare e imperscrutabile, sono il filo conduttore della manifestazione enogastronomica “Ruralia”, che si è chiusa ieri a Gorizia. Che da una parte si è occupata del pericolo di estinzione del vinum loci, cioè dei vitigni autoctoni italiani, e dall'altra ha invitato a un gemellaggio «Collio-Marsala». Due iniziative che non dovrebbero avere niente in comune. Eppure... Gemellare i vini del Collio goriziano, all'estremo nord-est d'Italia, con quelli di Marsala, Mars-el Allah, in arabo Porto di Dio, ci riporta proprio alla riscoperta delle loro origini. L'autoctono “Grillo”, anima del Marsala, deliziava i fenici, ma è solo grazie agli inglesi, molti secoli più tardi, che Marsala da “approdo divino” diventa “vino divino”. Nel 1773 infatti il mercante inglese John Woodhouse, colto da una tempesta, trova riparo nel porto siciliano e, apprezzato il vino locale, decide di riportarlo in patria in botti con l'aggiunta di “spirito di vino” per conservarlo meglio durante il viaggio. Risale a 150 anni prima invece il legame “di-vino” del Collio. Che nasce nel 1632 tra Aurora, figlia del conte Carlo Formentini, e il conte Adam Batthyàny de Nemet-Ujvar. Come dote Aurora reca in Ungheria 300 viti di Tocai, tanto che uno dei vitigni che concorrono a formare il Tokaji ungherese si chiama “Furmint”. Sembra che i due contadini che consegnarono il vino avessero detto agli ungheresi: “je tukai” ovvero “è qui”. Una storia ora raccontata da Cristina Burchieri e Stefano Cosma nello studio “Vitti di Toccai 300” , che documenta come le origini dle Tocai non siano ungheresi. Per cementare tradizioni italiane così diverse si è voluto a Gorizia il cous cous, preparato dalla chef Piera Spagnolo di San Vito Lo Capo, antico borgo marinaro arabo del Trapanese, che 4 anni fa è diventato la capitale internazionale di questo piatto della pace, simbolo di integrazione tra culture e genti differenti ...

Il futuro ha radici antiche ... Dante racconta che papa Martino V, molto ghiotto, amava mangiare le anguille affogate nella Vernaccia. Dal Medioevo a oggi questo vitigno autoctono di San Gimignano di strada ne ha fatta tanta. Di questo antico vino e di molti altri (in Italia si conoscono 500 varietà di autoctoni, dei quali 250 in produzione e 250 a rischio di estinzione, un patrimonio davvero unico se si pensa che in Francia non arrivano a 10) hanno parlato produttori ed esperti a «Ruralia» di Gorizia, in occasione della prima rassegna nazionale sul «vinum loci», i vini autoctoni. Nomi suggestivi e sconosciuti ai più - il Timorasso o la Croatina del Piemonte, l'Ormeasco della Liguria, il Torchiato di Fregona del Veneto, il Corvino del Friuli Venezia Giulia, il Foglia Tonda e il Prugnolo gentile della Toscana, il Sagrantino umbro, il Passerina delle Marche, l'Aglianico del Volture della Basilicata, il Nerello della Sicilia, per citarne solo alcuni - tra i quali moltio che rischiano lentamente ma inesorabilmente di scomparire. «E con loro - sottolinea il direttore di Ruralia, Maurizio Tripani - sono in pericolo paesaggi, sistemi produttivi, saperi e culture locali» ...

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