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La Nazione / Il Giorno / Il Resto Del Carlino

Vino di pregio: la qualità non basta più ... Tutto come previsto. Vendemmia scarsa, 51 milioni di ettolitri, ancor meno che nel 2000. Qualità, fanno sapere gli enologi, «più che buona, con diverse punte di ottimo e alcune di eccellente». Verrebbe da chiedersi con Lucio Battisti: che anno è, che giorno è? Sì perché ogni volta è quasi un replay: le quantità si contraggono per l'effetto concomitante della siccità, della riduzione dei vigneti e della ricerca di minori rese. Quanto alla qualità, meglio stare nel vago. Sulla struttura dei vini 2001 si capirà qualcosa solo fra qualche mese; se l'annata sarà scadente, buona o ottima, lo vedremo più avanti, con i primi assaggi spillati dalle botti. Allora facciamo buone previsioni, così non si sbaglia. Anche perché un'annata scadente in partenza non s'è mai vista, e nessun oste ha mai 'bastonato' il vino che sta per servire. Piuttosto facciamo attenzione ad un altro dato, diffuso da Ice-Fieragricola di Verona: nei primi sei mesi del 2001 l'export di vini in bottiglia ha superato per la prima volta quello del prodotto sfuso, col valore delle vendite vicino ai 2.000 miliardi, il che fa presagire anche quest'anno un boom dell'export attorno ai 4.000-4.500 miliardi. E qui stappiamo un bel rosso d'annata, magari un '97, perché c'è da festeggiare. Il dato conferma che non c'è più un solo mercato dei vini e che anche l'allarme sulle giacenze va ridimensionato. Ormai si viaggia a due velocità: da un lato i vini a denominazione d'origine (Docg e Doc) corrono con le loro gambe e anche i prezzi all'ingrosso restano sui livelli del 2000; la crisi semmai attanaglia il comparto dei vini da tavola, con listini cedenti, i magazzini pieni e le distillerie pronte alla distruzione. Questo scenario nero per il vino da tavola è uguale in tutta Europa: in Spagna c'è un'eccedenza di 10 milioni di ettolitri di bianchi e nelle cantine della Castiglia, della Mancha si parla di catastrofe. La Francia deve distillare 4-5 milioni di ettolitri mentre l'export dei vins de pays (i loro vini da tavola) è in rapida e forte contrazione e sui mercati inglesi, tedeschi, giapponesi i vini correnti francesi sono superati da quelli cileni, australiani, sudafricani…L'Italia, il cui boom enologico è recente e quindi fragile, deve trarre insegnamento dalle disgrazie altrui. Se la vendemmia è scarsa, è quasi un bene purchè si tiri diritto senza incertezze verso l'obiettivo di fare sempre maggiore qualità. La crisi francese è figlia della standardizzazione produttiva e qualitativa internazionale, dei vitigni francesi globali (Cabernet, Merlot, Chardonnay, ecc.) piantati in tutto il mondo e che magari col correttivo della barrique fanno ovunque lo stesso vino (ma a prezzi molto diversi). Su questo versante, delle produzioni di media qualità, dei vini cosmopoliti barricati, l'Italia rischia molto. Ha scritto il professor Fregoni, nume della nostra scienza enologica: «il futuro risiede nella qualità, ma diversificata, tipicizzata, identificabile dal consumatore». Sacrosanto: la qualità per il vino ormai è un prerequisito, uno standard indispensabile. Bisogna andare oltre, verso i vitigni autoctoni di pregio, magari poco conosciuti, da riscoprire e valorizzare. Abituando gli italiani a bere "diverso", a riconoscere i territori. Altrimenti dov'è il nostro valore aggiunto?

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