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La Nazione / Il Giorno / Il Resto Del Carlino

Bottiglie meglio dei Bot. Il Brunello di Montalcino '75 fa +2.410% ... In vino veritas. E anche business, in tempi di Borse magre e di riscoperta dei Bot. Chi ha scommesso sulle «blue chip» del vino italiano ha fatto affari d'oro. Chi ha comprato direttamente in cantina, in enoteca o all'asta certe etichette cult, assiste a rivalutazioni da favola. Biondi Santi, storica griffe che ha creato il Brunello di Montalcino, è la cantina a più alto rendimento d'Italia. Il Brunello riserva '75 si è rivalutato del 2410% (oggi vale 675 euro), la Riserva 1990 oggi vale 860 (+832%), il Riserva '55 (qui si va sull'antiquariato) nel '61 costava 0,78 , oggi ne vale 4300, calcolate voi la mirabolante percentuale di incremento. Ma, vietato illudersi, queste cifre da sogno sono riservate solo alle grandi etichette, quelle che fanno tendenza, quelle che provengono dai «terroirs» delle tre B (Barolo, Barbaresco, Brunello), dalle più accreditate maison del Chianti classico, del Sagrantino, dell'Amarone. Sì, perché il mercato del vino ha due facce: da un lato è l'unico vero grande boom della nostra agricoltura dell'ultimo ventennio, assieme alla soia, oggi semiscomparsa, e al biologico. Un export da favola, 8 miliardi di euro di giro d'affari, i vignaioli che guardano gli altri agricoltori come parenti poveri. La scommessa vincente è stata quella della qualità, dopo i disastri del metanolo. Però, tutti sono concordi, il momento magico è alle nostre spalle, la fase espansiva si è esaurita, il mercato si è imballato e si è come spaccato in due. Mentre il boom ha trasformato i vigneti in oro e i valori fondiari sono schizzati alle stelle, ostacolando lo sforzo di aggregazione delle imprese, i consumi interni si sono fermati, colpa anche della spirale impazzita dei prezzi delle bottiglie di qualità (e di tanti improvvisati vignaioli che hanno cavalcato l'onda e si sono messi a fare rossi alla moda, barricati, mettendoli sul mercato a 30 euro). E' questo il quadro della vitivinicoltura italiana che si presenta oggi a Verona per l'inaugurazione di un Vinitaly sempre più kolossal (26 paesi presenti) e che vede per la prima volta una presenza strutturale della grande distribuzione coi marchi Sma e Auchan, in grado di assortire anche mille etichette in un solo punto vendita. Se la congiuntura internazionale non aiuta, e nei nostri market dilagano cabernet sudafricani, chardonnay cileni o australiani a prezzi di assoluta concorrenza, il mondo del vino nazionale (fatto di migliaia di piccole e medie imprese su base famigliare) si interroga su come consolidare i propri primati e incontrare il gusto di nuove fasce di consumatori, in Italia e nel mondo.

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