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La Nazione / Il Giorno / Il Resto Del Carlino

L’Unione Europea vanifica la tutela per 17 doc. I consumatori sfuggono ai prodotti troppo cari e il settore corre ai ripari ... L’ultimo schiaffo è arrivato, nientemeno, da Bruxelles. Il comitato di gestione vino della Comunità ha dato - con il voto contrario dei paesi produttori - l’ok alle modifiche del Regolamento n.753/02, che disciplina le indicazioni che si possono apporre sull’etichetta dei vini. In pratica, 17 denominazioni e indicazioni geografiche italiane, tra cui Amarone, Brunello, Gutturnio, Recioto, non saranno più tutelate da possibili usurpazioni di produttori extra-europei. Riccardo Ricci Curbastro, presidente di Federdoc, l’aristocrazia delle denominazioni italiane, è infuriato: “Malgrado la lodevole opposizione del ministro Alemanno, sul patrimonio vitivinicolo italiano (ed europeo) grava una reale minaccia proveniente proprio da quel sistema di governo Comunitario che dovrebbe invece tutelarci”. “Un vero e proprio assist all’enopirateria internazionale”, sbuffa Massimo Pacetti, presidente Cia. “Un gravissimo attacco al vino made in Italy”, rincara la dose Ezio Rivella, presidente dell’Unione Italiana Vini. “A questo punto l’unica via d’uscita è depositare le menzioni come marchi d’impresa, una soluzione già adottata dal Brunello di Montalcino in molti Paesi, tra cui Stati Uniti, Canada e Giappone. Visto che non si può più contare su una tutela a livello comunitario, dobbiamo affidarci ad una logica strettamente commerciale, e cominciare a depositare in tutto il mondo i nomi dei nostri vini come se fossero veri e propri marchi”.

Sui mercati esteri si consuma il primo vero stop nella irresistibile ascesa del vino italiano di qualità che durava dagli anni Novanta. Il 2003 dovrebbe segnare la prima battuta d’arresto del nostro export sia in quantità che, soprattutto, in valore (primi 8 mesi -17% in volume e -2% come incassi). Insomma, i numeri del vino - che resta comunque di gran lunga il più ricco comparto della nostra agricoltura - volgono in negativo (calano anche i consumi, sotto i 49 litri pro capite), la sbornia è finita, bisogna prepararsi a risalire la china, accettare la sfida del Nuovo mondo (Argentina, Australia, Cile) e pensare a ricette nuove.

Il cambio euro-dollaro non basta a spiegare l’inversione di tendenza. Anche i grandi chateaux francesi battono in testa sul mercato americano, mentre tirano solo i vins du pays, le etichette meno blasonate ma più abbordabili.
E sta nascendo una nuova competizione: quella fra prodotti di alta gamma, e non solo italiani. Ne è convinto Emilio Pedron, amministratore delegato del Gruppo Italiano Vini, controllato da LegaCoop, prima azienda vitivinicola nazionale, con 232 milioni di euro di fatturato, 15 marchi controllati dalla Valtellina alla Sicilia, 1100 ettari di proprietà. “Grazie al grande successo del vino italiano, alcuni produttori hanno ritenuto che il valore immateriale del prodotto - cantine “firmate” da architetti famosi, etichette preziose, ecc. - potesse giustificare notevoli aumenti dei prezzi. Allo stesso modo il ristoratore si sentiva autorizzato a ricarichi stellari. Ma ora il consumatore non è più disposto ad investire fortune in bottiglie di vino: vuole bere bene ma guarda anche al costo del prodotto. Insomma il futuro sta nel produrre e bere bene a costi corretti. Noi come Giv cerchiamo di influenzare la politica dei prezzi sia in Italia che all’estero e di controllare tutta la filiera, fino a suggerire il corretto prezzo finale della bottiglia al rivenditore”.

Se le difficoltà non toccano i vini-mito come il Brunello (l’export del più celebre fra i rossi toscani segna nel 2003 un +8% negli Usa, con aziende come Castello Banfi che fanno +18%), si cercano strade alternative, magari ascoltando i saggi consigli di Ezio Rivella che non si stanca di raccomandare “moderazione nei prezzi: solo i prodotti eccezionali possono permettersi certi aumenti di prezzo, ma oggi forse nemmeno più quelli”. Così a Casafrassi, gioiello dell'ospitalità toscana a Castellina in Chianti, il 13 e 14 marzo si riuniranno 17 piccoli produttori per far scoprire a tecnici del settore, turisti e appassionati i loro vini, caratterizzati da un ottimo rapporto qualità-prezzo. E’ la manifestazione ‘Chianti da scoprire’, piccoli gioielli dell'enologia toscana col pregio di essere accessibili a tutti. Le etichette in degustazione infatti costeranno mediamente dai 5 ai 10 euro. Anche in Chiantishire non è più tempo per colpi di testa. (arretrato de "La Nazione, Il Giorno, Il Resto del Carlino del 21 febbraio 2004)

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