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La Nazione / Il Giorno / Il Resto Del Carlino

Vendemmia senza boom. Boccata di ossigeno per il settore ... Vendemmia scarsa, un sospiro di sollievo. Come quando non c’era il boom, quando sommelier e degustatori facevano la fame (anzi, la sete), la vendemmia 2005 col suo calo di quantità (siamo tornati sui 50-51 milioni di ettolitri) mette un impacco freddo sulla febbre del settore. Febbre che si chiama essenzialmente calo dei consumi (non solo in Italia ma in tutta Europa), esportazioni al palo, cantine stracolme di eccedenze. Il settore per ora tiene ma in un equilibrio precario. Una ristrutturazione si impone, perché non possiamo continuare a cullarci sulle nicchie o a blaterare di vini e vitigni autoctoni che nessuno conosce. Intanto i prezzi all’ingrosso dei vini stanno colando a picco: non solo in Emilia Romagna (lambruschi e trebbiani) ma in Toscana, in Veneto, in Sicilia e (udite,udite) a Bordeaux, segno che la crisi è continentale. Chi ha un mercato di nicchia se lo tiene e magari produce vini di seconda fascia. Chi si è buttato adesso nel settore con investimenti miliardari, trema. Chi fa dal milione di bottiglie in su, cerca la Grande distribuzione e magari svende. Chi è bravo ad esportare cerca spasmodicamente nuovi mercati. Per Marco Caprai, inventore del successo planetario del Sagrantino, recentissima ‘cantina dell’anno’ per la guida del Gambero Rosso, “la distillazione richiesta all’Ue è il simbolo di un ritorno al passato. Si continua a produrre tanto e male. E tutto questo a danno esclusivo dei produttori che fanno qualità. Occorrono nuove strategie, che finalmente disincentivino la produzione di bassa qualità, privilegino la formazione di personale qualificato, e puntino decisamente sul marketing, che ancora non si fa quasi per niente”.
“Bisogna distinguere fra i produttori di nicchia e dal marchio affermato e quelli che fanno vini di media qualità - spiega Diego Planeta, pioniere della rinascita del vino siciliano e presidente della Cantina Settesoli, giusto mix di qualità e quantità. “Per i primi non vedo grossi problemi all’orizzonte. Vini come il Brunello o il Sagrantino, dalla forte connotazione territoriale e dall’identità ben delineata, non sono globalizzabili. Più dura è per i secondi, esposti alla grandissima aggressività competitiva di paesi come l’Australia. Un discorso a parte meritano le aziende dei “parvenu” cioè di coloro che hanno cavalcato l’onda del successo improvvisando e credendo che la formula ‘consulente di grido + alti prezzi+6000 ceppi a ettaro + cantina faraonica’ garantisse da qualunque difficoltà. Credo che soffriranno più di tutti”. Duro ma realistico Ezio Rivella, famoso enologo-manager: “Per i vini di qualità un minimo di organizzazione esiste, ma per il vino attualmente in eccedenza e di qualità medio-bassa, l’unica soluzione percorribile resta quella della distillazione. Il mondo del vino italiano ha commesso soprattutto un peccato di presunzione, ritenendo l’ombrello delle denominazioni sufficiente a consolidare i nostri prodotti sui mercati di tutto il mondo. Ma le Doc sono, dal punto di vista del marketing, difficilmente utilizzabili, ad eccezione di pochissimi casi”. E la cooperazione, che rappresenta il 50% del vino italiano? Grandi lavori in corso. “Ridurre i costi e quindi i prezzi attraverso politiche di accorpamento per sfruttare al meglio gli impianti, investire in un miglior livello tecnologico delle imprese e migliorare le tecniche di vendita”, è il credo di Paolo Bruni, presidente Fedagri-Confcooperative, che alla ‘qualità cooperativa’ ci crede tanto da aver dedicato una guida al vino delle cantine sociali. (arretrato de " Qn Economia - La Nazione, Il Giorno, Il Resto del Carlino" dell'8 ottobre 2005)

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