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La Nazione / Il Giorno / Il Resto Del Carlino

Il sequestro era un bluff Ora Boroli rischia di pagarla … Allarme inutile, il pm valuta la posizione dell’imprenditore… La bolla si è sgonfiata. Non è rimasto neppure il sapone. Ma ha lasciato una coda giudiziaria la storia sballata di mercoledì sera: non il tentato sequestro di Achille Boroli, rampollo di una prestigiosa dinastia di editori e ora di produttori vinicoli, ma un litigio fra automobilisti. Una storiaccia da autostrada con sorpassi, lampeggianti, clacson, insulti, indici al cielo, inseguimento finale.
Ora deve valutare la procura di Novara. Sarà il pm Ciro Caramore a decidere se procedere nei confronti dei due antagonisti-inseguitori (Athos Rocatti e Cristian P., zio e nipote elettricisti) per tentata violenza privata e nei confronti di Boroli per false comunicazioni all’autorità e procurato allarme.
La storia suona fin dall’inizio come una campana stonata. Rapimento in autostrada? Filmato dalle telecamere? Numeri di targa annotati dal telepass? Negli uffici della squadra mobile di Novara, Achille Boroli insiste: no, nessun litigio con un altro automobilista. All’uscita del casello di Novara Est della Torino-Milano una monovolume Kia scura ha atteso la sua Laguna, ha tentato per due volte di costringerlo contro il guard rail, lui ha svicolato, ha chiamato il 113 col cellulare, è stato inseguito per un paio di chilometri.
Athos Rocatti gira a installare citofoni e videocitofoni. Proiettato nel cono di luce di una notorietà improvvisa, non si sottrae alle domande.
Signor Rocatti, allora?
“Allora quel signore ha incominciato a insultarci in autostrada, ha continuato al casello e dopo il casello. Ha fatto dei gesti”.
Gesti all'italiana?
“All’italiana e anche non”.
E poi?
“Quando lo abbiamo visto fermo al telepass avrebbe potuto dirci se aveva dei problemi. La cosa sarebbe finita lì. Invece ci a chiesto ‘che c...’ volevamo. Ci siamo fermati tra un telepass e l’altro lasciando lo spazio per le altre auto. Ci ha affiancato, ha abbassato il finestrino e ha continuato con la solita tiritera. Non ci abbiamo visto più e abbiamo cercato di corrergli dietro”.
Conosceva il suo contendente?
“L’ho saputo da quei tre signori della questura che si sono presentati qui a casa mia venerdì sera. Sono caduto dal pero. Mi hanno chiesto di mercoledì sera. Ho raccontato l’accaduto. Io non sono un santo e non lo è mio nipote che era al volante. Però... Mica siamo banditi”.
Non aveva letto i giornali, ascoltato i tg?
“Ho sentito degli elicotteri e dei posti di blocco, ma se non fossi andato in questura non avrei saputo niente. Quando sono tornato a casa, mi sono messo su Internet per vedere chi era il signor Boroli. Insomma, dico una cosa. Se una persona come lui può fare scoppiare un casino del genere, oltretutto per causa sua, vuole dire che in Italia c’è qualcosa che non funziona. Al lupo, al lupo. E quando il lupo ci sarà davvero?”.
Ora non teme di venire denunciato?
“Capisco se l’avessimo preso a schiaffoni, buttato fuori strada. Ma siamo stati dieci minuti buoni ad aspettarlo per avere una spiegazione. L’inseguimento è stato un errore? Io sono qua. Non scappo. Pago ma vorrei che quel signore pagasse per la sua parte”.
Perché non ha denunciato l’accaduto?
“Dall’alto dei miei 120 chili? Mi sarei fatto ridere addosso”.

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