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La Nazione / Il Giorno / Il Resto Del Carlino

Chaudelune ... Il vino che viene dal freddo. In Valle d’Aosta si vendemmia l’uva quando è gelata... Il bere in Valle d’Aosta non è un semplice dialogo tra bottiglia e bicchiere ma una vera e propria liturgia. L’antica fratellanza tra montanari lo trasforma infatti in un rito, in un inno alla sacralità dell’amicizia e dalla famiglia. In Valle d’Aosta il freddo detta legge e induce a gustare piatti sostanziosi accompagnati da buoni vini: si beve non da solitari, ciascuno con il suo gotto davanti, ma à la ronde, in cerchio, da un unico recipiente. E’ la grolla, voce derivata dal tedesco graal, il sacro calice usato da Gesù nell’Ultima Cena, cui i cavalieri medievali potevano accostare le labbra solo se il loro cuore era puro.
La grolla valdostana in genere di legno, è munita di diversi beccucci uno per ogni commensale. Occorre una certa perizia: la grolla dev’essere infatti inclinata in modo da poter sorbire il vino senza versarne nemmeno un goccio dai fori vicini. Bisogna bere tutto il contenuto: porterebbe sfortuna lasciarne un sorso.
Come ogni superstizione che si rispetti anche questa nasce dalla storia, anzi dalla geografia: la produzione dei vini di montagna valdostani (i più alti d’Europa), richiede infatti impegno e sacrificio dei vignaioli. Come in Valtellina e in certe valli del Trentino e dell’Alto Adige, i vigneti sono abbarbicati sulle coste rocciose delle montagne e ingentiliscono zone dove non si possono sviluppare altre colture. Fatica e passione firmano una perla enologica a La Salle e Morgex, in provincia di Aosta, dove nella prima decade di novembre si è conclusa, a 12 gradi sotto lo zero, la vendemmia tardiva per ricavare dal vitigno Priè Blanc un superbo bianco da meditazione, il “Chaudelune” e cioè “Caldaluna” chiamato così perché l’uva vede poco sole. Il vino viene infatti prodotto da uva gelata: una tradizione unica in Italia che stando ad alcuni documenti, fa risalire la prima vendemmia tardiva in Valle al 1816. Una bottiglia, 190 anni fa, costava sedici soldi.
“Quando gli “Eiswein” in Canada sono diventati una moda, qui in Italia si producevano da oltre un secolo”, sottolineano con orgoglio i produttori di Morgex. Il periodo di raccolta varia dai primi di novembre (nel 1816 si vendemmiò a Ognissanti) a metà dicembre e dipende dalle condizioni meteorologiche: la temperatura ottimale è di otto gradi sottozero. All’interno di ogni acino si formano dei cristalli di ghiaccio e molti appaiono grinzosi e scuri.
Questi ultimi sono attaccati dalla muffa nobile che esalterà la pienezza di questo vino dei ghiacci. Dopo la raccolta inizia la pressatura e quindi la fermentazione del mosto in piccole botti di rovere per circa un anno. Successivamente c’è un passaggio in vasca d’acciaio per la stabilizzazione e, alla fine, l’invecchiamento in bottiglia per circa un anno e mezzo. “Abbiamo nelle botti trenta ettolitri di “Chaudelune” datati 2007: il dato conferma che l’ultima vendemmia è andata molto bene, questo perché si è ribaltata la tendenza ormai decennale caratterizzata dalla difficoltà di raggiungere le basse temperature necessarie per la raccolta”, afferma Gianluca Telloli, enologo delle Cave du Vin Blanc de Morgex et de la Salle. Il “Chaudelune” è bianco da meditazione che non teme l’invecchiamento.
Accorgimento importante: dev’essere conservato coricato in un luogo fresco. Va servito a 10-12 gradi centellinandolo e accompagnandolo con formaggi piccanti di media e lunga stagionatura. E attenzione: non avanzatene nemmeno una goccia!

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