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La Nazione / Il Giorno / Il Resto Del Carlino

“Sfursat”, un nobile di montagna … Tra i gioielli della Valtellina, il passito dalla lunga lavorazione... Conversando di vino, quando il discorso capita sulla Lombardia, nella maggior parte dei casi si finisce col magnificare, a ragione, i risultati ottenuti dalla Franciacorta con le sue nobili bollicine oppure le Cantine dell’ Oltrepò Pavese dimenticando però che la Lombardia del vino ha un’altra importante zona rinomata per i suoi prodotti, la Valtellina. Proprio questa zona di confine con i suoi caratteristici vigneti di montagna con forti pendenze e terrazzamenti ed un numero di ore di lavoro per ettaro doppio o addirittura triplo rispetto ad un vigneto di media collina o di pianura, ha imboccato la giusta strada e sta facendo passi da gigante coniugando tradizione, qualità e innovazione.

La Concessione della Docg alla tipologia Valtellina superiore (Grumello, Inferno, Sassella e Valgella) a partire dai vini della vendemmia 1998 ha sancito il percorso qualitativo tracciato dai produttori del comprensorio. I Valtellina superiore sono l’avanguardia di questo rinascimento ma la Valtellina trova nello Sforzato (o Sfursat, in dialetto) il più rinomato, ambizioso e titolato dei suoi prodotti che rientra in una particolare categoria di vini passiti di origine antichissima. Questo vino valtellinese deve il nome ad una tradizionale pratica di forzatura dell’uva Nebbiolo (o Chiavennasca, come viene localmente definito questo pregiato vitigno). I vigneti migliori per lo Sfursat si trovano a 400-450 metri di altitudine, su terrazze esposte a sud e ben ventilate. Da qui all’inizio di ottobre prima della vendemmia vera e propria si scelgono i grappoli più esposti, sani e maturi, con acini radi e piccoli.

La tecnica di produzione, ovvero la “forzatura”, è analoga a quella utilizzata in Valpolicella e prevede che queste uve vengano disposte su graticci, ovvero distese in un unico strato su superfici con telaio di legno o di canne, in locali asciutti e ben areati, i fruttai. Le uve vengono lasciate lì per due mesi eliminando gli acini rotti che tendono a marcire. In questo periodo di appassimento l’uva perde circa il quaranta per cento del peso. Così da due chili di uva fresca si ottiene un chilo e due etti di uva appassita da cui deriva una bottiglia di vino. Il grappolo staccato dalla pianta continua a vivere: perde acqua, aumenta il tenore degli zuccheri e nascono sostanze aromatiche che non esistono nell’uva fresca e una volta eseguita pigiatura e la vinificazione renderanno unico il vino prodotto.

Lo Sfurzat può conservarsi oltre 15 anni in bottiglie coricate al fresco e al buio. La sua morbida ricchezza accompagna formaggi molto stagionati e forti come il Bitto, ma si abbina servito a 20 gradi, alle carni rosse e alla selvaggina. E’ anche un classico vino da meditazione da gustare a fine pasto o in compagnia degli amici davanti al camino acceso.

Terenzio Medri Presidente nazionale Ais Associazione italiana sommeliers

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