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La Nazione / Il Giorno / Il Resto Del Carlino

La Nazione, 150 anni nella storia d’Italia ... Un libro apre le celebrazioni dell’anniversario… Ha visto nascere l’Italia e morire l’impero comunista. Ha ritratto - e, perché no? anche bacchettato - papi e presidenti, dittatori e teatranti, sportivi e letterati. Ha raccontato guerre e terremoti, alluvioni e attentati, ascese e cadute di finanzieri e faccendieri, scandali internazionali e grandi fatti di costume. Le ha viste proprio di tutte, in un secolo e mezzo, La Nazione, il giornale più antico dell’Italia moderna: e tutte quelle che ha visto, le ha raccontate in una monumentale enciclopedia di vita vissuta e rispecchiata, una enciclopedia in 50mila volumi, ettari su ettari di carta, fiumi e fiumi di inchiostro, chilometri di nastri dei telegrafi e delle telescriventi.

Se li è letti tutti, quei cinquantamila volumi, Maurizio Naldini, gran penna di giornalista e di scrittore, firma storica del giornale, per farne un’antologia: un volume che si intitola La Nazione 150 anni, voluto dalla Poligrafici Editoriale e dalla famiglia Riffeser Monti per celebrare l’importante traguardo, quel secolo e mezzo di presenza nelle mani di milioni di italiani che proprio con questo volume si comincia a festeggiare in vista del compleanno, il 13 luglio. Quattrocento pagine, in tre parti e 12 capitoli, con 200 articoli, titoli e foto riprodotti in veste originale: si va dal primissimo numero di quel lontano 1859 fino all’elezione di Barack Obama alla Casa Bianca. Maurizio Naldini ha scritto il saggio d’apertura, per spiegare come e perché nacque il giornale e come si affermò anche grazie all’apporto di scrittori, politici, grandi giornalisti. Poi, ognuna delle tre parti è introdotta da uno storico: Zeffiro Ciuffoletti scrive su “Il Risorgimento e l’Italia liberale”; Cosimo Ceccuti rilegge il tempo “Da Giolitti al Fascismo”; Sandro Rogari guida all’analisi dell’ “Italia Repubblicana”.

Un secolo e mezzo d’Italia e del mondo, insomma, con gli occhi del giornale. Di più, con il giornale protagonista. Non a caso si chiamò proprio La Nazione, e lo hanno ricordato tutti coloro che sono intervenuti ieri mattina alla presentazione del volume nell’auditorium “Attilio Monti”, all’interno della sede: dal direttore Giuseppe Mascambruno al sindaco di Firenze Leonardo Domenici, dal barone Francesco Ricasoli al curatore Maurizio Naldini fino ai tre storici, preziosi collaboratori nella realizzazione di questa opera. Un’idea geniale di Bettino Ricasoli, il “Barone di Ferro”, capo del governo provvisorio di Toscana ma anche imprenditore agricolo (fu lui che rivoluzionò la pratica vitivinicola in Toscana, e dettò la celebre “ricetta” del blend di uve per il Chianti Classico), e non a caso qualche anno più tardi primo ministro del neonato Stato nazionale non ancora completato nell’unità di tutto il territorio ma già alle prese - era il 1866 - con una paurosa crisi economica. Ricasoli capì che per accelerare la diffusione dell’idea di uno Stato unitario (non più federalista, visione a cui aveva aderito qualche anno prima) lo strumento giusto sarebbe stato il giornale. Lo fondò, una notte di luglio del 1859 in Palazzo Vecchio, lo fece stampare in poche ore di febbrile lavoro: aveva creato un mezzo di efficacia portentosa.

Giornale sempre presente, si è detto, per offrire ai suoi lettori la prospettiva chiara dell’Italia e del mondo. Anche quando, ricorda Naldini nell’emozione delle scoperte in questo suo lungo viaggio, durante la Grande Guerra pubblicava due colonne con il semplice titolo “Dal Fronte” per ospitare le notizie sui nostri soldati. Giornale liberale ma illuminato, se è vero che negli anni 1861-62 affidò a un ventiseienne Giosuè Carducci, infiammato di giovanilismo ribelle, un’inchiesta sulle scuole serali, e poco più tardi un’altra sul lavoro minorile a Sidney Sonnino: che era un conservatore, ma l’effetto fu quello di una grande battaglia civile. Ebbe un suo ruolo concreto, insomma, il giornale di Ricasoli (curioso: anche lui “compie gli anni” in questo 2009, e sono duecento). E se lo ritagliò assai presto. Le chiavi per leggerlo, proprio Ricasoli e quelle sue tre leggi finanziarie impopolari ma indispensabili (l’alienazione dei beni ecclesiastici, la legge sul corso forzoso della moneta, la legge sul macinato) e poi Massimo D’Azeglio e la sua spinta alla “congiura al chiar del sole”: ecco perché lo storico Zeffiro Ciuffoletti attribuisce a La Nazione il “contributo cruciale nel momento in cui lo Stato unitario poteva sparire”. Ruolo che resta, con gli anni: Cosimo Ceccuti sottolinea gli appelli per Trento e Trieste, ma anche la fierezza - tutta fiorentina - nel rimarcare le difficoltà del Regime all’indomani del delitto Matteotti. E infine, calato nell’oggi, Sandro Rogari ammonisce: il giornale di carta sopravviverà anche a Internet, perché il giornale ha gli stessi ritmi biologici del lettore mentre il web lo limita a una lettura “per punti”.

Un cerchio che si chiude. E commuove, quando il direttore Mascambruno, nell’abbracciare i colleghi pensionati e ricordare chi non c’è più, fissa l’accento sugli “elementi chiave, moralità e buona fede”, e il “grande patrimonio di lavoro”. Con un’immagine efficace: se il giornale “è un bosco sulle pendici di un monte, la slavina che passa non fa danni”.

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