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La Nazione

"Troppe vigne, il vino rischia" ... Va contro corrente Lapo Mazzei, presidente onorario del Consorzio del Chianti classico e presidente del Consorzio Terre del Chianti, ente, quest'ultimo, che sta aggregando le aziende artigiane e del turismo del territorio più «doc» d'Italia. I dati dell'Osservatorio del Salone del vino dicono che il sole continua a splendere sull'enologia e che la crisi americana non ha per ora sfiorato il buon bere. I prezzi medi dello sfuso sono cresciuti, rispetto al settembre 2000, del 6,1% mentre l'inflazione è al 2,6. Ma l'impennata più alta l'ha avuta proprio il Chianti con aumenti che vanno dal 60 al 100%. Va contro corrente Mazzei perchè di fronte a un quadro così roseo, lancia un allarme: si stanno piantando troppe viti, c'è il pericolo di un eccesso di offerta. Che se non sarà prevenuto farà crollare i prezzi mettendo a repentaglio la viticoltura di qualità.
Presidente Mazzei quali dati la inducono a questo allarme? «Stiamo per completare una una ricerca sui nuovi impianti di viti. Ma sono certo che i numeri confermeranno quello che mi dicono gli occhi. E gli occhi non tradiscono dopo una vita passata tra vigne e cantine». Ma i prezzi del vino aumentano... «Fanno anche presto a precipitare. Un aumento della produzione del 10% porta a una caduta del prezzo del 50%. Non solo. Si dimentica che l'agricoltura non è l'industria, l'agricoltura è rigida, comporta investimenti decennali. Se c'è un eccesso di offerta non si può a cuor leggero espiantare le vigne perchè poi occorrono anni per riaverne di produttive».
Le quote di terreno a vigneto non sono fisse?
«Certo. Il guaio però è che è possibile comprare quote in altre regioni, in Sicilia o in Puglia, per venire a impiantare vigneti in Toscana. Teoricamente la produzione globale italiana dovrebbe restare invariata, nella realtà temo che non vada proprio così...». Insomma il pericolo è di inflazionare i vini nobili, come il Chianti...
«Esattamente. E noi nel Consorzio stiamo cercando di scoraggiare nuovi impianti di viti».
In questa prospettiva si spiega il no del Consorzio del Chianti alla Doc Toscana?
«Questa della Doc Toscana è follia pura. In questa regione c'è già il maggior numero di doc d'Italia, un'altra doc non farebbe che annacquare questo marchio di qualità. Ma poi come si fa a pensare a una doc unica per i tanti vini che si producono nella regione: qui si va dallo spumante, ai bianchi, ai rossi... molti dei quali hanno già l'Indicazione geografica tipica, come i supertuscan». Perchè questa spinta a entrare nel mercato di qualità? I profitti si fanno anche con vini da tavola... «Il mercato mondiale del vino è in contrazione, nonostante i Paesi che si affacciano a questo consumo. Tuttavia, all'interno di questo quadro che si va restringendo, c'è il mercato dei vini di qualità che è invece in espansione». I fautori della Doc toscana dicono di essere il 63% dei produttori...
«Sono numeri tutti da verificare. Spetta farlo al comitato del ministero dell'Agricoltura che ha all'esame la richiesta della doc Toscana».
Che effetti avrebbe sui prezzi la Doc Toscana?
«Porterebbe a un livellamento. Si alzerebbe il prezzo dei vini meno blasonati e si abbasserebbe quello dei più blasonati». E' vero che le doc servono a moltiplicare il prezzo dei terreni piuttosto che a guadagnare di più col vino?
«La lievitazione dei terreni c'è. Ma avviene dopo anni e anni. Ci vuol parecchio tempo prima che una zona diventi rinomata grazie alla fama del suo vino. L'aumento dei prezzi dei terreni è una conseguenza marginale delle doc, non certo il motivo principale per cui vengono ambite».
La sua ultima creatura, il Consorzio Terre del Chianti. «Sono pochi mesi che è nata, è ancora in gestazione. Aderiscono già una sessantina di aziende. Lo scopo è valorizzare l'artigianato e il turismo del Chianti che sono parenti stretti del vino, fare marketing del territorio. La meta è dar vita con gli altri consorzi al primo distretto rurale italiano».

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