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Allegrini 2024

La Nazione

Sciacchetrà, il nettare della terra più aspra ... Mano nella mano, lungo la Via dell'Amore. C'è un premio che sa di peccato, di sensuale, di torbido, di avvolgente, di passione, laggiù in fondo al sentiero: un chilometro di paradiso per l'occhio, per il naso, per l'animo, e quando t'immergi in una simile sinfonia di colori, di luci, di profumi il premio l'hai già respirando, vivendo. Sognando. Anche quello che t'aspetta, le promesse di quella mano che stringi. Ti guarda negli occhi, il brivido è partito, l'intesa è accesa. Sarà fuoco, e non solo per il sole d'estate. Sarà fuoco perché in terra il paradiso è carne, contatto, intreccio. Sarà fuoco e se è fuoco vero avrà il suo 'vero' sigillo, qui. Il nettare dell'impossibile. Sciacchetrà. Spezie, macchia mediterranea con tutti i suoi assolati sentori, ma anche miele e uva sultanina e albicocche mature, e cacao e resine: un crogiuolo di profumi che nemmeno il più provetto degli alchimisti avrebbe potuto inventare. In bocca, si scatena la passione, dolce che non stucca, sapido che eccita. Sciacchetrà. Quarantanove ettolitri di assoluto, di perfezione. Solo quarantanove ettolitri, meno di cinquemila litri per una vendemmia che pretende almeno venti volte il lavoro di ogni altra vigna, in ogni altro terreno. Il nettare degli dei nasce da una scommessa incredibile, le viti sui 'cian', sulle terrazze strette e ripide ritagliate e rinforzate con i muretti a secco anno dopo anno dopo anno a fare i secoli da una fatica immane, da un ingegno senza pantografi e senza progettisti grandi firme che però ha regalato soluzioni, il trenino con i vagoncini che portano via l'uva appena vendemmiata è uno spettacolo, lungo le vigne di questa striscia di incanto che va da Monterosso a Riomaggiore, ma abbraccia — almeno per la Doc Cinque Terre e quindi anche per lo Sciacchetrà — un pezzettino del territorio della Spezia, i Tramonti, di Biassa e di Campiglia. Quarantanove ettolitri, tredicimila bottiglie di quelle 'mezze', la bordolese ormai è una follia perché il nettare è rarissimo e richiestissimo, e non ci vuole tanto a pagarlo trenta-quaranta euro per una «mezza»: inutile protestare, costa sempre caro tutto ciò che è buono e raro. E deve far quadrare conti di un'economia risicata: sono meno di 150 i terreni della Doc Cinque Terre, ci vivono 417 produttori ma il più grosso, la Cooperativa, ha 600 soci, in tutto fanno poco più di 4mila ettolitri, quasi tutto bianco secco, il nettare divino è una goccia. E saprà regalare attimi da sogno. Anche solo, lo Sciacchetrà — a proposito, il nome viene da due parole dialettali: 'sciac', schiacciare, e 'trà', tirare, perché le uve appassite sui graticci, all'ombra per non far soffrire la muffa nobile, si pigiano e il giorno dopo si traggono e si dimenticano, il nettare degli dei va affinato bene — non teme confronti con un momento di relax del pensiero, quando la mente apre i suoi sentieri e con un compagno del genere galoppa serena. Ma ci sono anche i matrimoni: il pandolce genovese e la spongata sarzanina, perché tra uve sultanine, canditi, arancia, marmellate, miele e pinoli moltiplicano il potenziale dello gusto, dischiudono mille rivoli possibili di gusti lenti, scanditi, sottolineati; e così la frutta secca, e così i formaggi, piccanti è meglio, il dolce e il sapido si esaltano. Ci hanno provato fior di poeti, a spiegarlo; il Vate D'Annunzio, che di certe cose se ne intendeva, sentenziò «profonda sensualità», e il sanguigno Carducci, che pure su certi versanti non scherzava, sentiva «l'essenza di tutte le ebbrezze dionisiache». Ma già lontano, molto lontano, Plinio il Vecchio aveva assaggiato un «vino lunare», lo stesso che nel Decamerone il brigante Ghino di Tacco offre all'affranto Abate di Cluny. Vino generoso da una terra di sapori ricchi, forti: il pesto (con i fagiolini e le patate, attenzione...) per insaporire le picagie, e le acciughe salate pure sulla pasta, e la mesciùa che sposa tanti sapori della natura, e la frutta secca, e l'olio, e il limoncino... Umori esaltati, ecco perché papa Paolo III Farnese parlava di un vino «da bere a tutto pasto, di gran nudrimento alli vecchi». Averne, però.

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