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La Nazione

"La cultura ed il paesaggio armi vincenti del vino toscano". Intervista a Francesco e Filippo Mazzei ... Un sistema-territorio ben conservato, con ricadute e benefici anche per chi sta ai margini, o subito fuori. Ma giù le mani dai confini, il territorio è quello del Chianti classico, un confine è un confine, anche se non si vede: e i modelli tipo Grosseto sono solo logiche di potere politico. Lo slogan ideale per il distretto rurale del Chianti è insomma "sviluppo con cervello", secondo Filippo e Francesco Mazzei, 44 e 43 anni, due dei cinque figli di Lapo: i due che hanno preso il timone delle vigne e delle cantine del Castello di Fonterutoli, 70 ettari di vigneto in quattro zone di produzione tra i 250 e i 500 metri in questo scorcio di paradiso chiantigiano che appartiene ai Mazzei dal 1435, più, da qualche anno, un’appassionante avventura in Maremma. Mezzo milione di bottiglie, e grandi risultati: non passa anno che le “bibbie” del vino non attribuiscano ai prodotti di Fonterutoli – lo “Chateau”, ma anche il Chianti classico “normale” e il Supertuscan “Siepi” – bicchieri, grappoli e punteggi ai massimi livelli. Filosofia in tre parole: intuito, coraggio, ottimismo. "E’ la lezione di Pietro Barilla, una grande palestra lavorare con lui": è l’esperienza di formazione di Francesco, mentre Filippo “prima” è stato 5 anni in Findomestic. Uno slogan e un chiodo fisso: il Chianti classico. Da eccellenza, o non si fa: quasi certamente il Castello di Fonterutoli 2002 non vedrà la luce ... Bisognerà cambiare ancora il disciplinare? "La flessibilità è necessaria per dare più spessore a vini che nascono da microzone tanto differenti, a 500 metri viene meglio il Merlot del Sangiovese, il Chianti fiorentino e quello senese sono molto diversi, quindi se qualcuno vuole metterci del Canaiolo, perché no".
E’ la strada per combattere i Paesi emergenti?
"Bah: loro il nostro “assett” non l’avranno mai, il territorio, la cultura, il paesaggio, questa è l’arma vincente della Toscana. Loro fanno ottimi vini nelle fasce basse, dove noi non possiamo stare, per il costo del lavoro e la bassa produttività". Una mano potrebbe venire dal distretto rurale? "Se ha logica di territorio, un sistema ben conservato, con l’indotto della ristorazione, del turismo, e ci può entrare anche la piccola industria". Una logica elementare, che può spazzare tutte le polemiche. "Mettere insieme le individualità dei toscani non è facile: in questa logica il collante ci sarebbe, ma con gli enti locali questo tipo di ragionamento non si può fare, vedono solo la perdita di potere nei confronti dei cittadini. E poi, insomma, il modello-Grosseto, più amministrativo che produttivo, è sbagliato, non attiva soldi… Si fa la questione del fatturato industriale, ma che c’entra? Se si mettono insieme Antinori, Giv e quelli grossi si passano i mille miliardi di vecchie lire". E poi c’è la storia dei confini.
"Ora il nodo è questo. Ma i confini ci sono, e sono quelli del Consorzio: è l’ora che le altre zone intorno si sveglino e inventino qualcosa di proprio… e poi è miope pensare che un confine invisibile blocchi le ricadute. Comunque il presidente delle provincia di Siena, Ceccherini, ha capito che il problema dei confini è piccino, e che il distretto vuol dire sviluppo. Purché sia fatto con cervello: lo svincolo di Monti è un’invasione pazzesca di cemento armato, ma a chi serve? Certe paure sono un fattore ideologico, il vino è trasversale". E voi avete allargato lo sguardo alla Maremma … "Già: terra di luce pazzesca, di colline dolci, di costi di produzione più bassi. Terra che ha bisogno di leader, e diventerà grandissima: l’esempio da seguire è quello di Bolgheri".

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