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La Nazione

Troppe sigle per il vino. Lo straniero si confonde ... Duemilauno, annata strepitosa. La settimana dei Grandi Rossi di Toscana comincia alla grande, almeno nel bicchiere: il Chianti Classico che oggi debutta ufficialmente alla Certosa di Firenze regala un 2001 e una Riserva 2000 davvero di altissimo livello. Almeno al primo assaggio, semiclandestino, mentre nel Saloncino del Teatro della Pergola una bella platea di produttori, amministratori locali, giornalisti ascolta esperti a vario titolo che propongono analisi, obiettivi di mercato, indagini, ricerche, suggerimenti. Due su tutto, le sfide per il futuro del Chianti Classico, 7mila ettari di vigneti, 557 soci produttori, 21 milioni e 690mila bottiglie (di cui quasi un quarto a Riserva) nel 2002. La prima: credere sempre di più nel mercato di qualità, per ora piuttosto «immaturo», almeno in Italia, come rileva Emanuela Stucchi Prinetti (nella foto), presidente del Consorzio del Gallo Nero: solo il 14% della popolazione adulta acquista una bottiglia che costa oltre 5 euro, e la spesa media italiana (2,26 euro a bottiglia) è la più bassa in Europa. La seconda: la scommessa della tipicità, sottolinea tra gli altri Gianfranco Imperatori (nella foto), economista, banchiere e segretario Generale dell'Associazione Civita. Voce di una tipicità che vuol dire mix di valori dal grande appeal, a partire — per il Chianti — dall'unicità del territorio. Ma niente illusioni, niente rendite di posizione, avverte ancora la presidente. Funziona, è vero, il sistema d'imprese (marchio collettivo e comune attività promozionale avanti a tutto) e l'idea del distretto produttivo. Ma ci sono tre gradini da superare, dice Emanuela Stucchi Prinetti. Primo: le aziende si sforzino ad aumentare la qualità contenendo costi e prezzi. Secondo: ci vogliono leggi nazionali per rafforzare i distretti vitivinicoli e rurali. Terzo: il mercato assuma «una più moderna cultura del consumo». Un'indagine affidata a Eurisko (400 interviste) avverte che il vino rosso di qualità (il Chianti classico, unico toscano, è secondo nella top five) ha clienti maschi (60%), soprattutto nel Nordovest, vende poco tra i 18-24enni, e piace di più tra i laureati e gli imprenditori, i dirigenti, i professionisti. Un mercato da ristrutturare, insomma, quando finalmente «il vino — dice ancora la presidente — cesserà di essere considerato principalmente un alimento». Vino come piacere, come way of life. Ma bisogna vendere. E dall'estero arriva qualche avvertimento. Stefan Gerner, tedesco, e Greg St, Clair, americano, distributori, spiegano che il concetto di "Riserva" su quei mercati non paga. Che il Chianti in America nei ristoranti non è molto servito, a vantaggio magari del Brunello, e che le sigle (Igt, Docg, Doc) sono troppe e confondono il consumatore. Che anche in Germania non sa dove cercare il rosso migliore, tra discount e scaffali d'ogni tipo. E anche su questo ci sarà da lavorare.

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