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La Nazione

La bottiglia è un bene rifugio. Lo dicono futures e warrant ... "Investite in vino, male che vada lo si può bere". Il consiglio è del compianto Gianni Agnelli. I grandi rossi di Toscana e d'Italia si sono confermati, alla stregua del mattone o dell'oro, uno fra i beni rifugio più sicuri e addirittura un investimento con i fiocchi ricorrendo ai pochi e poco noti strumenti finanziari esistenti nel mondo del vino. Come i «futures» (si paga il prodotto, in genere di un'annata molto buona, per poi ritirarlo a una determinata scadenza), come i warrant (normali titoli che oltre alla cedola danno un diritto per l'acquisto di vino a prezzo predefinito), come la cartolarizzazione(trasormazione di debiti in titoli garantiti da vino di gran pregio). I «futures», lanciati sul Brunello di Montalcino da Castello Banfi, a quel tempo guidato da Ezio Rivella, sono stati usati da diverse aziende (e ora godono anche delle garanzie di qualche banca) in Toscana e in Piemonte (Tenimenti di Fontanafredda del Monte dei Paschi). Per dare un'idea il rendimento dei «futures» sul Brunello Banfi del '98 è risultato del 10,91 per cento. Con le borse in picchiata, i fondi in rosso, i bot ai livelli minimi, c'è da battersi il petto per non aver «affogato» i nostri risparmi nel vino. Anche i warrant – lo strumento è stato adottato da Antinori e Frescobaldi con l'assistenza di Mediobanca e legato al Brunello del 1997 - hanno fatto faville. Ci dicono di rendimenti da considerare stellari, con i tempi che corrono. Tutto ciò è però addirittura niente a fronte della rivalutazione-monstre messa a segno in una manciata d'anni da alcuni grandissimi vini italici, veri e propri «blue chips» del settore. Come risulta da un'inchiesta di WineNews, magazine on line, in 5-6 anni alcuni «top» hanno avuto rivalutazioni dell'ordine del 500%, con punte fino al mille. Certo, perché le «etichette» più pregiate si rivelino un buon affare occorrono alcune imprescindibili condizioni di partenza: prodotto di altissima qualità e capacità di durare nel tempo, notorietà, richiesta di mercato e rarità. E ciò significa i migliori Brunello, Barolo, Barbaresco, Sagrantino, Chianti Classico e ovviamente Supertuscan che trovino menzione da parte della critica specializzata come le riviste Wine Spectator, Decanter, Parker, Gambero Rosso. Meglio poi se figurano nelle più prestigiose aste in Italia e all'estero come Christie's, Sotheby's, Finarte, Pandolfini. Ma soprattutto tali prodotti devono provenire dalle migliori vendemmie. Le grandi annate fanno i grandi prezzi. Secondo WineNews, che ha messo a confronto il valore di alcuni vini nell'anno di uscita in enoteca con il valore attuale, sempre in enoteca , il Barolo Sandrone Connubi Boschis del 1990 si è rivalutato del mille%: da 55mila lire a 550mila. Del 900% il Brunello Case Basse Soldera riserva 1990, passato da 100mila lire a un milione. Incrementi dell'800 % sono poi attribuiti al Barbaresco Sorì Tildin di Gaja dell'89 ( da 100 a 900mila lire) e al Montepulciano d'Abruzzo Valentini 1990 (da 50 a 450mila lire). Il Sassicaia San Guido del 90 viaggia sul 775%, mentre quello del 97, in enoteca ora a 500mila lire, è già al 233%. E sempre sul 700% troviamo il Sagrantino Montefalco di Arnaldo Caprai «25 anni» del '93 (costo: 350mila lire). Seguono il Brunello Biondi Santi riserva 1990 con una rivalutazione del 598%; il Barolo Gaja Sperss del 1988 con il 567 per cento; il Barolo Conterno Monfortino Riserva 1990 con il 438; il Solaia Antinori 1997 con il 367; il Masseto dell'Ornellaia 1997 con il 200; l'Ornellaia 97 con il 122 e il 98 con il 58 per cento; l'Amarone Dal Forno 1994 con il 125%.

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