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La Nazione

"Vola l'export del vino. Ora le nostre vigne in Usa" ... Il momento è magico. Ma il vino toscano, già cresciuto grazie alle classifiche di Wine Spectator, la "bibbia" d'Oltreoceano, e ora spinto in poppa dal boicottaggio dei prodotti francesi, deve lanciare l'assalto definitivo al mercato americano. Necessità palpabile, che si sente nell'aria, che si legge nelle cifre (l'Italia esporta negli Usa vino per 700 milioni di euro, con un +20% ogni anno, e ormai ha superato la Francia, penalizzata per un 15-20% dal boicottaggio di guerra) e che rimbalza dal convegno Il ponte del vino — Joint ventures e partnership tra Italia e Stati Uniti, organizzato da Paolo Fantacci, rappresentante onorario di American Chamber of Commerce in Italy in una splendida villa sulle colline fiorentine: Villa La Sfacciata, che nel Quattrocento fu la casa dei Vespucci, quando si dice la combinazione. Parte forte, la settimana che porterà la Toscana a una parte da protagonista al Vinitaly, a Veronafiere da giovedì 10 a lunedì 14 aprile: 500 espositori, come dire uno ogni otto, con 200 stand, un padiglione (il 37) di 6mila metri quadri (800 coperti da Toscana Promozione, perché il vino è un "gancio" formidabile per il turismo, in questi tempi di scarsi movimenti oltre i confini), una pattuglia di griffe che danno l'identità al padiglione dei vip, un ricco programma di eventi, degustazioni e presentazioni. Dice qualcuno che quest'anno Vinitaly sarà in tono minore, compresso tra il Pro Wein di Duesseldorf e il Vinewxpo di Bordeaux a giugno, ma la vetrina è sempre interessante. E come vincere la sfida negli Usa, dunque? Le strade sono due: mettere insieme un'offerta fin qui troppo polverizzata, in sinergia tra produttori e distributori, suggerisce Riccardo Margheriti, presidente di Banca Verde; in alternativa, andare «a investire anche noi in America». A piantare vigneti: Antinori, per fare un nome, ci ha già pensato, la joint venture di Napa Valley con Atlas Peak sta per scadere, sarà italiana la gestione oltre alla proprietà, e il gusto tutto toscano dell'accoglienza sta già pensando a un rélais per accogliere gli ospiti vip. Come Moet et Chandon con lo Chateau de Saran. Strade da studiare entrambe, se è vero il dato proposto dal presidente di AmCham, Mario Resca: l'interscambio Italia-Usa vale 13 miliardi di dollari, ma gli americani ne investono da noi solo 2 e mezzo. venti volte meno che in Gran Bretagna, e perfino in Francia. Eppure la storia del feeling del vino tra Italia e Usa è lunga, rammenta il console generale a Firenze, William McIlhenny: fu Filippo Mazzei a portare viti e vignaioli a Thomas Jefferson nel 1773, e due secoli dopo Gianni Zonin ha messo su 160 acri di vigneti in West Virginia. Una special legacy che ha poi coinvolto i Frescobaldi e i Mondavi, titolari della prima vera joint venture proprio in Toscana, con l'azienda Luce; i Mariani, tornati a far vino di qualità a Montalcino, con Banfi; Beringer che ha acquistato il Castello di Gabbiano, nel Chianti classico. Strada percorribile? Ci sono varie formule, suggerisce l'avvocato Federico Dabizzi, ma Luciano Pannocchia, vicedirettore di Banca Verde, ammonisce: il credito è attrezzato, però le aziende devono metterci del loro. Il credito guarda ai grandi vignaioli attenti a tutto il territorio, un po' come Zonin che con la sua idea di Vigneto Italia acquista terre ovunque, e ovunque punta sulla qualità e sul vitigno autoctono. E i big sfilano a raccontare esperienze e storie, da Frescobaldi a Biondi Santi ci sono tutti. Compresa la new entry: Robert Cuillo, italoamericano. Innamorato del Chianti, ha comprato terre a Radda.

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