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La Nazione

La guerra del Brunello, Consorzio diviso ... L’accusa è dura: vogliono stravolgere il Brunello di Montalcino, il vino più tipico del mondo, in nome di un gusto più moderno e internazionale. La "difesa" è altrettanto dura nel respingere al mittente: chiacchiere da bar, sciocchezze, al più divergenze sulle tecniche di cantina, o magari sulle funzioni del Consorzio, di controllo piuttosto che di promozione.
Ma il fatto è comunque storico. A Montalcino c’è aria di malessere, il meno 8-10% registrato sui mercati in questo frangente di crisi ormai planetaria (e comunque ben al di sotto delle "botte" subite da altri prodotti e da altri territori) in qualche modo agita le acque. Il Consorzio nato nel 1933, che aveva ritrovato compattezza assoluta con l’ingresso dei Biondi Santi (la fattoria che ha "inventato" il Brunello a metà Ottocento) si presenta per la prima volta diviso al voto per il rinnovo delle cariche.
La giornata delle urne è domani, e già ieri sera gli schieramenti affilavano le spade: si tratta di conquistare i consensi dei circa 230 produttori, che votano con un complesso sistema di rappresentanze, per scaglioni di mille ettolitri. A lanciare il guanto di sfida è un produttore medio-grande, la Fattoria dei Barbi, 100 ettari di vigneti, 700mila bottiglie l’anno. Dice Stefano Cinelli Colombini, sicuro di trascinare nella sua "crociata" anche nomi importanti: «C’è una volontà strisciante di "internazionalizzare" il gusto del Brunello, di tornare a farlo come prima del disciplinare del ’66 quando era consentito il "taglio" del sangiovese con il 15% di vitigni migliorativi. Ma il Brunello è solo Sangiovese, e a Montalcino viene il miglior Sangiovese del mondo». Secondo Stefano Cinelli Colombini, però, la vicenda non nasce a Montalcino, ma «è un movimento che gira sotto la cenere, ci sono riviste e siti Internet che spingono dicendo "il disciplinare è superato", e grandi produttori che non sembrano insensibili».
«Macché, tutt’al più si potrà discutere di strumenti tecnici, la botte grande o la barrique o il tonneau, e la macerazione a freddo o meno», replica seccato Enrico Viglierchio, direttore generale di Castello Banfi, uno dei "giganti" tirati in ballo. E Remo Grassi, che della Banfi è vicepresidente, aggiunge: «Questo non sarebbe comunque argomento da consiglio del Consorzio, ma da assemblea dei soci. Poi, chi ha voluto provare a fare prodotti diversi, ormai lo fa da decenni, e proprio con quei vitigni "migliorativi"». Domani il voto. Qualcuno risulterà sconfitto, dalle urne. Ma non sarà certo il Brunello.

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