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La Nazione

2004, il Chianti più nero. Crolla il prezzo dell'uva. Cantine piene di invenduto e arriva la vendemmia ... L'anno scorso costava sui 150-160 euro al quintale. Di questi tempi non arriva a 80 euro. E' bella, sana, quasi matura, l'uva delle vigne del Chianti Classico. Ed è abbondante, soprattutto se rapportata alla produzione
dell'anno scorso, "decimata" dall'inclemenza delle stagioni e dalla grande siccità. Ma il suo prezzo in vigna è praticamente dimezzato, precipitando a livelli quasi non remunerativi. Situazione simile, virgola più, virgola
meno, per le uve che sono alla base del Chianti, il vino toscano più noto nel mondo. Attualmente quotano sui 40-50 euro al quintale, circa la metà
dell'anno scorso. Ma costretto in difesa è praticamente quasi tutto il vino toscano. Comprese le "punte", checchè ne pensino e ne dicano dirigenti di consorzi, produttori e tifosi vari. Perché se è vero che esistono eccezioni,
anche vistose, è vero che anche il Brunello ha dovuto accusare un calo dei prezzi all'origine superiore al 10 per cento, come la Vernaccia di San Gimignano e il Nobile di Montepulciano. Non c'è vino, dunque, che si salvi dai colpi
di una congiuntura, interna e internazionale, molto pesante ma soprattutto tanto prolungata da far temere che abbia ormai connotazioni strutturali. Comunque sia è l'ora di correre ai ripari. Il Consorzio del Chianti Classico
la sua parte l'ha fatta ed ha preso la dolorosa e contrastata decisione (gli "industriali" del vino non ne volevano proprio sapere) di tagliare
del 20 per cento le rese della prossima vendemmia. In parole povere un quinto
del raccolto non potrà diventare Chianti Classico ma sarà classificato vino comune da tavola, contribuendo così, si spera, ad allargare i margini del mercato e a far ripartire la domanda di Gallo Nero. Una mossa che potrebbe portare i suoi frutti ma che non potrà alleviare più di tanto la situazione di tanti vignaioli, piccoli o piccolissimi. Intanto perché, anche con i
prezzi stracciati attuali, non c'è chi compri le uve sulle viti o, peggio, il vino che invenduto ingombra ancora le cantine, tanto che, perdurando
la situazione, molti non sapranno dove mettere il raccolto della prossima vendemmia. C'è, poi, anche una questione finanziaria che preoccupa aziendine e fattorie che, scommettendo sui tempi d'oro del nostro vino, hanno messo
in piedi corposi investimenti per rinnovare vigneti e cantine ed ora si trovano con le spalle scoperte. Una situazione diffusa in Regione.
Anche il Consorzio del Chianti - il Putto di beneamata memoria - si appresta a sua volta a fare le sue scelte. Proprio oggi è in programma l'assemblea dei soci. Un'assemblea decisiva. Drovebbe passare - ma non è scontato -
il rilancio del Consorzio e della sua presenza con un adeguato pacchetto di attività e di iniziative da assumere. Vedremo. Dal canto suo anche la Regione sta muovendosi. Il più sollecito a percepire che le cose sono cambiate e che la partita del vino, tanto importante per la Toscana, per la sua economia e per migliaia di agricoltori e indotto, sta facendosi seria e ingarbugliata è stato il consigliere della Margherita, Gianluca Parrini che ha subito
"bussato" all'assessore all'agricoltura Tito Barbini. Quest'ultimo è stato sollecito a cogliere l'importanza e i contenuti del messaggio. Risultato: è in arrivo un gran consulto per arginare la crisi. E' probabile che si decida di convocare gli della vitivinicoltura della Toscana. Un atto dovuto se la situazione non dovesse dare alla svelta segni di cambiamento.

La proposta - Zonin a Berlusconi: riduci l'Iva al 10%

I problemi del vino vengono ormai da lontano e non sono di certo soltanto della Toscana. Tutta l'Italia del vino è "in sofferenza". Gianni
Zonin, uno dei più grandi e famosi vignaioli del nostro Paese (12 aziende in 7 regioni, 80 milioni di fatturato) ha dato voce a questo malessere in
una lettera indirizzata al presidente del consiglio Berlusconi. La richiesta non è condivisa da Angelo Gaja, il "re" del Barolo, a cui giudizio il vino è bene voluttuario e quindi
prodotto di lusso. Il rilancio passa dunque non dalla riduzione dell'Iva ma da investimenti per la qualità.

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