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La Nazione

L’uva toscana punta ad Est. Ungheresi, sloveni e cinesi tra gli stand dove i produttori hanno scommesso forte… Verona - Arrivano. Polacchi, slovacchi, sloveni, ungheresi. E russi, E cinesi. E’ l’Est la sorpresa, ma forse la conferma, della prima giornata per la Toscana del vino all’edizione numero 25 di Vinitaly, che si è aperta ieri con un omaggio a Giovanni Paolo II e si chiuderà lunedì. Non cambia la formula ma semmai migliorano i servizi, e comunque, per dirla con Enrico Viglierchio direttore generale di Castello Banfi, resta “più un’occasione di incontro che una fiera vera e propria”. Incontri sempre “interessanti”: Francesco Ricasoli molla per un attimo un cliente inglese e apre l’agenda, non c’è un’ora libera, e sono danesi e polacchi, belgi e inglesi. Tanti inglesi, tanti americani che sembrano essere tornati all’antico amore per i vini toscani, un po’ meno forse i tedeschi, c’è segno di ripresa ma a fatica.
E invece, tra gli stand lo dicono in tanti, i cinesi. I coreani. Mercati nuovi. La Toscana ha scommesso forte, su questa edizione. Un intero padiglione di seimila mq, con tutti i 10 consorzi e 251 aziende, camere di commercio, consorzi di valorizzazione, associazioni di sommelier, banche, più una serie di marchi nel padiglione adiacente. Il cuore, un maxistand con un calendario fitto di iniziative. Il cuore del cuore, un librone che parla di eccellenza: la Selezione dei Vini in Toscana, 779 etichette selezionate – sulle mille proposte – da sette commissioni internazionali; di queste, 221 hanno ottenuto più di 85 centesimi, “un punteggio altissimo, e soprattutto un’altissima percentuale, oltre il 22%, in un ambito di elevata qualità”, commenta Franco Ignesti, funzionario di Toscana Promozione, che oggi presenta il libro. E non ci sono solo i big: le grandi accanto alle piccole, le cantine sociali insieme alle griffes, la Val di Cornia con i Colli di Luna, l’Aretinato e il Chianti classico, la Maremma e il Pisano. Toscana, appunto. Primo giorno, fiera forse ancora “tiepida”, ma qualche dato esce fuori. “In primo luogo, un prepotente interesse per il vino”, avverte Renzo Contarella, direttore generale della Antinori. Soprattutto dai mercati più piccoli, aggiunge dal canto suo Ferdinando Frescobaldi, mentre “intanto i distributori hanno smaltito gli stock anche sui mercati storici; questo ci consente di guardare con più fiducia anche ad America e Germania”. Per Frescobaldi parlano anche le cifre: più 8% in valore, più 3% in fatturato in questi primi mesi del 2005, raffronto su un periodo cupo, ma comunque segnale. Del resto condivisi, nella piccola oasi felice di Montecarlo, Lucca, segnalano addirittura un più 20% Banfi avverte – ed è più o meno la condizione di tutta Montalcino – un più 5% in valore e un più 8% in bottiglie vendute. Certo, si illude chi pensa che siano tornate le vacche grasse. E sul piatto torna il tema delle “Doc” regionali. Un’idea non nuova, che piace a Frescobaldi e Antinori, mentre Viglierchio (Banfi) mette in guardia. “Sminuisce – sentenzia – il rapporto tra la Doc e il territorio, che d’altra parte non tutto uguale, in Toscana. E risponde a una logica pericolosa: che debba risolvere tutto l’ente pubblico”. E proprio Banfi lancia l’idea provocatoria: piuttosto che agitare lo spettro dei paesi emergenti, facciamoceli alleati. “Noi – spiega Vaglierchio – distribuiamo in Italia australiani e cileni, che sono oltretutto più affini dei nostri vini all’esplosione della cucina etnica. In questo modo si punta sul confronto, non su una guerra che potrebbe essere persa in partenza: ormai il consumatore è globalizzato”. E la ricetta può valere per i grandi come per i piccoli, purché siano capaci di scegliersi un “alleato” complementare. Per struttura e immagine. Provocazione, ma chissà che non sia l’idea giusta.

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