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La Nazione

Luci e ombre nella hit parade alla vigilia di Vinitaly. Toscana nel calice Un Morellino insidia il "mito" Sassicaia ... Cinquecento aziende e consorzi, più di 700 produttori rappresentati. Camere di commercio, Province, banche, Comuni. E un mega-stand della Regione, mille metri quadrati, dentro anche un wine bar che funzionerà da sala incontri, e una sala degustazioni. E’ massiccia, la presenza toscana al Vinitaly dei quarant’anni, a Veronafiere da giovedì 6 a lunedì 10. Massiccia: normale, per la terra che si contende con il Piemonte la corona di leader in Italia. Ma anche qualificata: ci sono le grandi griffes, i blasoni, i miti emergenti, e c’è qualche ritorno che aggiunge prestigio a prestigio. E vivace: nei cinque giorni di programma, il cartellone di Vinitaly annuncia almeno una dozzina di iniziative targate Toscana, e sono solo quelle ufficiali, perché poi anche i produttori ne mettono su di proprie. Tra tutte, di sicuro effetto, sabato 8, Il vino delle Donne e la degustazione dei nuovi rossi della Provincia di Livorno.

Per capirsi, Bolghereaux. La "Bordeaux d’Italia". La terra che ha segnato la rinascita: gli fa un baffo, con tutto il suo inno al pinot noir, il film Sideways al Sassicaia e ai rossi dell’Ornellaia. Sassicaia, lo spettacolare figlio di Niccolò Incisa della Rocchetta e Giacomo Tachis, è il "mito dei miti" per un sondaggio mondiale realizzato proprio alla vigilia di Vinitaly. Che al top colloca anche il merlot Masseto dell’Ornellaia e il Tignanello di Antinori, e poi un vinsanto, l’Occhio di Pernice di Avignonesi.

Nella hit parade dei vini toscani, sono le punte di diamante: i grandi, ma anche i "gioiellini" di Bolgheri. Aziende più piccole, che per tanti enoappassionati sono un "cult". Anche se i supertuscan appaiono categoria in disgrazia: ma questi, ormai, identificano un territorio, non sono più la risposta a una moda, a quel gusto internazionale lanciato dai guru d’Oltreoceano. E oggi già appannato: sarà per questo che un nome come Biondi Santi non si ossida mai, e che il Brunello di Montalcino continua la sua corsa. Non omogenea, certo: piace tanto in America e in Germania, piace sui mercati emergenti, ma al di qua delle Alpi il consumatore si fida un po’ meno, e non capisce perché, malgrado il crollo dei prezzi alla produzione, sullo scaffale il calo in realtà non c’è stato. Nelle zone alte delle hit parade, poi, fanno capolino anche territori un tempo considerati meno vocati: è il caso del Valdarno Aretino, la magica terra della strada Setteponti e degli sfondi che Leonardo fotografò per la Gioconda. Merito solo di un paio di aziende? Intanto si sfata un tabù.

Fin qui, però si resta, nel paniere dei prezzi alti. Da capogiro, in qualche caso. Come si cala, e ci si avvicina alle tasche di un pubblico più vasto, ecco che i protagonisti della corsa cambiano. E s’affaccia la Maremma. Da molti data per spacciata, ormai a fine corsa: eppure il Morellino di Scansano, che neppure a ristorante — salvo qualche eccezione — supera i 20-25 euro a bottiglia, il che significa anche meno della metà nei negozi o al supermarket, il Morellino è comunque il rosso toscano più stappato, quello che dà più di altri un’idea di freschezza, di novità e appunto di accessibilità. Così come corre bene il Carmignano, che certo conta meno in cifre assolute — tra le "denominazioni" è la più piccina — ma è assai agguerrito per qualità, e anche per tradizione. E corrono bene, tra i bianchi, il Vermentino di Bolgheri e, sorpresa, la Vernaccia di San Gimignano. Gran ritorno.

Infine, Montepulciano e il Chianti Classico. Per il Nobile non sembrano momenti d’oro, malgrado i grandi sforzi dei produttori; e se il Chianti Classico recupera forza con i grandi rientri nel consorzio e con il Gallo Nero come unica bandiera, se le cifre raccontano bei successi, l’immagine non è compatta. Ma le idee non mancano. Vinitaly lo dimostrerà.

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