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La Nazione

Trucioli: cantine in guerra ... Trucioli. O, per essere un po’ più raffinati, chips. Nessuno li rammenta, ma sono nella mente di tutti. Trucioli: l’ultima frontiera delle pratiche enologiche, diffusissima nei Paesi emergenti, dagli Usa al Cile, dal Sudafrica all’Australia. L’Europa ne discute, alla fine li ammetterà. E creerà fratture sempre più profonde nel mondo del vino italiano, ancora diviso sull’uso della barrique. Per chiarire: i "trucioli" sono un’ampia gamma di prodotto che va dalle piccole doghe di dieci centimetri fino a una "segatura" finissima, tostate ma non bruciate, che servono per ammorbidire i tannini e conferire al vino aromi e gusti più "eleganti". E qui si levano gli scudi: il dibattito è aperto, accesissimo. Se ne è accennato ieri nel convengo che ha dato il via alla quarantesima Settimana del Vino di Enoteca Italiana, tema Le pratiche enologiche. Tecniche innovative: tra esigeneze di competitività e trasparenza di informazione. Tema che riassume tutto il dibattito, anche se tra i super-esperti convenuti a Siena solo Wolfgang Haupt ha parlato a chiare lettere del caso-trucioli. «No ai trucioli se vogliamo esaltare le tipicità e il terroir», avverte invece Flavio Tattarini, presidente di Enoteca Italiana, «ma quello che conta - prosegue - sarà una dura battaglia per insistere sul riconoscimento giuridico in Europa delle denominazioni, e sulla trasparenza attraverso l’etichetta. Che in Italia esiste già». Roberto Bruchi, enologo e direttore di Aprovito, è decisamente contrario, ma introduce il nocciolo della questione quando dice che «l’uso dei trucioli può essere eventualmente concesso solo per i vini da tavola». «Una soluzione che non consentirà controlli», osserva contrariato l’enologo Niccolò D’Afflitto, «perché - dice - i trucioli non possono essere l’emulazione della barrique, e siccome la questione coinvolge una montagna di denaro, non sarà semplice fare controlli in cantina, come dovrebbe essere se i trucioli fossero ammessi solo nella fermentazione». «I trucioli - è il parere di Barbara Tamburini, enologa giovane ed emergente - possono rafforzare gli aromi, ma sono impensabili pert i vini importanti, che non si possono fare di corsa». E Giuseppe Liberatore, direttore del Consorzio Chianti Classico, avverte: «Ci saranno poi difficoltà anche all’interno delle denominazioni, perché non sarà più chiaro quali siano i vini "da tavola"». Rischi di frodi, insomma. E di assurdi, già sotto gli occhi di tutti, come la pubblicità di un vino in brik passato in barrique. Ma intanto a Siena si continua a lavorare sulla tipicità. E oggi si parlerà di un nuovo metodo che svela il dna dei vini attraverso l’«impronta digitale». Senza la maschera dei trucioli, che cancella l’identità. (arretrato del 21 maggio 2006)

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