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La Nazione

Guerra al vino globalizzato ... Marco Pallanti: il computer per controllare la provenienza dell’uva...
Difesa dell’identità e delle differenze contro il mercato del vino globalizzato. Controlli più severi per cancellare i sospetti di bluff e di frodi con “tagli” non ammessi. Si alla tecnologia e alla modernità, ma sempre a sostegno della tradizione. E sullo sfondo (“è un traguardo più lontano, per ora si discute”) una classificazione alla francese, per singoli cru. Pochi punti, ma chiari: è il “programma di governo” di Marco Pallanti, presidente del Consorzio Chianti Classico che affronta la prima vendemmia del dopo-riunificazione. Bel colpo, questa elezione poco dopo il rientro nel Consorzio da produttore. Che segnale è?
“Io sono ottimista, credo che indichi voglia di cambiare, oltre a un riconoscimento della politica svolta in azienda, la fedeltà al marchio”.
Lei è il presidente della riunificazione. Che impegno sarà?
“Ne sono onorato: in queste vesti il mio predecessore è Lapo Mazzei, uomo di larghe visioni e di grande passione. È una sfida grossa: di fronte al vino globalizzato, dobbiamo imporci per la genealogia, non per le riffe. Il mercato impone il ‘chi’, noi puntiamo sul ‘dove’, cioè sul territorio, la sua storia, la sua cultura. Chi ama il vino ama le differenze, e in questo siamo favoriti da una varietà, il sangiovese, che ne è proprio l’espressione”.
Ma in che stato è il Chianti Classico?
“Non così negativo. Da noi la media dei vini buoni è più alta che a Bordeaux o in Borgogna, ma loro comunicano meglio. Però ci aiuta il nuovo decreto sulla vigilanza”.
Perchè, che cosa aggiunge? 
“Verifiche strette sui vigneti e sui passaggi in cantina. Un sistema che permette di risalire via computer, grazie a un numero sulla fascetta, al chilo di uva che ha prodotto quel vino. Noi siamo al 30% dei nostri 6mila ettari. E vogliamo andare avanti”.
E’ il suo programma?
“Già, potenziare le strutture del controllo... Siamo avvantaggiati dai nuovi impianti in vigna, che non permettono più il bluff del vino in arrivo da fuori. E voglio sostenere il nostro laboratorio, che è a livello universitario”.
Questo però ha poca presa sul consumatore.
“Gli basterà sapere che beve vini perfetti, che non fanno male e vengono da dove dicono. Insomma, dobbiamo dimenticare le fragole Natale, le forzature del mercato. Noi mettiamo in bottiglia un 60% di prodotto buono e un 40% di storia, paesaggio, cultura”.
Però tra voi ci sono i puristi e quelli un po’ più spregiudicati…
“Basta con le guerre di fede, e pensiamo piuttosto a tirar fuori le zone dove il sangiovese dà risultati fantastici. La globalizzazione ci vede perdenti sui costi dei nostri vigneti, e si vince modernizzando semmai la tradizione”.
Insomma, la barrique non è più uno scandalo.
“No, se ben usata. Ma non lasciamoci spaventare dai trucioli, il ‘tarocco’ non ci tocca”.
Già, ma i prezzi sono alti.
“Bah, i francesi sono più cari. E noi dobbiamo sfatare un luogo comune, il Chianti come fiasco da pizzeria sulla tovaglia a quadri”. Forse il nome Chianti vuoi dire ancora troppe cose...
“Beh, intanto il Gallo Nero è ridiventato il nostro marchio unico, che ci distingue. Ma bisognerà arrivare certo a una classificazione per valorizzare i singoli vigneti, che costano tanto”.
Ma portano ricchezza: pensiamo al turismo.
“Già. I vignaioli rimodellano il paesaggio, questo è un investimento che ha grossi riflessi pubblici. Però non dobbiamo diventare una Disneyland”.
Presidente: come sarà questa vendemmia?
“Buona, anche se avremo, un meno 5% in quantità. Ma smettiamola di ‘bere le annate’. I produttori bravi fanno cose buone negli anni difficili”.
(arretrato de La Nazione del 17 settembre 2006) 

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