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La Nazione

“Niente allarme clima per ora in agricoltura” ... I Georgofili. Vanno studiate piante più resistenti... Scampato pericolo. L’agricoltura toscana si è salvata dal colpo di coda dell’inverno. I danni sono molto relativi. E’ vero che fino a martedì ci può essere ancora qualche sorpresina, “ma è anche vero - come dice il professor Giampiero Maracchi - che bisogna che la temperatura vada tre o quattro gradi sotto zero per fare male”. Improbabile, incrociando le dita.
Ai georgofili per parlare di “Cambiamenti climatici e impatto sull’agricoltura”, insieme a Maracchi e sotto la guida del presidente, il professor Franco Scaramuzzi, i superesperti Giuliano Mosca, Vincenzo Ferrara e Domenico Vento. Il clima, si sa, è ormai, insieme all’ambiente, il sorvegliato numero uno. Ma non sono il caldo o il freddo, la siccità o le bombe d’acqua a preoccupare - sostengono a una voce gli esperti - bensì la radicalità dei fenomeni e la loro imprevedibilità che non li rende dominabili. Il sistema agricolo toscano, al pari di quello nazionale, non può comunque non risentire dei cambiamenti climatici. Guardando avanti Giuliano Mosca stima l’impatto in una riduzione del 10-20 per cento della superficie agricola coltivabile con un taglio fra il 2 e il 10 per cento del reddito agricolo. Alla lunga, però. “Ma è suonato - dice - il campanellino d’allarme, ignorarlo sarebbe da sciocchi. Bisogna controbilanciare”. Come? Ad esempio trovando varietà, soprattutto nei cereali ma anche nei fruttiferi, più rustiche e che abbiano maggiori tolleranze, a partire dall’apparato radicale.
In parole povere occorrono soldi. Per la ricerca, per la speri-mentazione, per la diffusione dei dati. Niente di nuovo sotto il sole: vero. “Solo che - ammonisce Mosca - si doveva partire ieri”. Una visione per così dire più tranquillizzante delle prospettive ce l’ha invece Franco Scaramuzzi . “Occorre un approccio - sostiene il presidente dei Georgofili - sereno e obiettivo. Di cambiamenti ne abbiamo avuti sempre. C’è da vedere se questi sono veramente globali. E se anche lo dovessero essere faremo a tempo ad adattarci. Ci vogliono svariate decine d’anni prima che si consolidino determinati fenomeni. Da qui al 2030-2040 la biosfera ha tempo e modo di modificarsi e, in essa, l’uomo è quello che sa adattarsi prima e meglio”.

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