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La Nazione

Se il vino si veste di carta ... Plop . La magia sottile di un suono, il tappo che salta, il brivido di un rito che ammalia: la bottiglia, i calici, il liquido, bollicine con riflessi d’ambra, il rubino appena screziato di granato dei colli di Montalcino o di Gaiole. Incombe una minaccia, sul la liturgia del vino come si celebra in Toscana, magari davanti a un succulento piatto di selvaggina arrosto. Viene, manco a dirlo, dalla Gran Bretagna, dove un tale mr. Martin Myerscough ha lanciato un’idea che è molto più di una provocazione. La bottiglia di carta. Cinquantacinque grammi di bordolese fatta di carta con l’anima in plastica. Come il bag in box, la “scatola da spillare” che ha rimpiazzato la vecchia damigianina per uso domestico. Biodegradabile, con il tappo a vite. Leggera facile da spedire. Sarà l’idea del futuro? La Toscana dei grandi vini dice no, è di rigore il vetro chiuso con il sughero, e c’è chi lo veste di etichette d’arte, perfino di diamanti. E poi, vuoi mettere il rito.

Bottiglia di carta, la Toscana dice no. Per i grandi vini permesso solo il vetro. E anche il commercio è perplesso

Vetro, solo vetro, null’altro che vetro. Dal Chianti al Brunello, dal Nobile alla Vernaccia, il Vigneto Toscana non ammette deroghe: è scritto chiaro nei disciplinari di produzione, che sono legge. Vetro: e in genere anche “scuro”, si legge; già, perché le bottiglie devono essere, “per quanto riguarda
la forma e l’abbigliamento, adeguate ai tradizionali caratteri di un vino di pregio”, impone il codice del Chianti Classico. Cioè: ci si accapiglia per modificare le percentuali di uve nei grandi rossi (con furiosi dibattiti sulla “identità territoriale”), ma il contenitore non si discute: al massimo, sempre il Chianti (e quindi il Gallo Nero) accetta oltre alle classiche bordolesi anche la forma è precettata
- solo il “fiasco toscano”. Purché “non usato”. E comunque, ancora di rigore, tutti recipienti chiusi con tappo di sughero. Alla faccia della perfida Albione, e delle idee di mr. Martin Myerscough, l’inventore della bottiglia di carta da 55 grammi, con l’anima di plastica però biodegradabile (il concetto è lo stesso degli shopper) e il tappo a vite. Non se ne parla proprio, a queste latitudini. Almeno, non per i vini di pregio. E viene da sorridere, pensando che anche sul “vestito” c’è chi ci scommette con operazioni di grande qualità: ecco le trenta etichette (e le carte di rivesti mento della bottiglia) del Casanuova di Nittardi, Castellina in Chianti, firmate di anno in anno da grandissimi artisti, c’è Pistoletto e Gunter Grass, Igor Mitoraj e Mimmo Paladino, Emilio Tadini e Yoko Ono. Ecco chi le ha impreziosite con il platino, come la Campigiana di Edo Beconcini a San Miniato, che aveva già lanciato per il suo “Imperatore” un’etichetta in raso tempestata di cristalli Swarovski, già visti del resto sulla grande “D” dei vini Diadema di Villa L’Olmo, a Impruneta. Che ha creato anche il “vestito” arricchito da 134 diamanti, valore della bottiglia completa 8mila euro. E Capannelle, di Gaiole in Chianti, dove si addobbano le bottiglie con etichette-gioiello in oro e in argento. Bel tema, insomma, questo del packaging del vino, in una terra votata a evocare lusso & glamour country chic come la Toscana. L’abbigliamento” delle bottiglie è il core business di un’agenzia specializzata fiorentina, lo Studio Doni & Associati, che “veste” cantine-griffe come Antinori e Ricasoli, Caprai e Donnafugata, Lungarotti e Masciarelli, Il Borro e Mazzei, Frescobaldi e Zonin. Con il dipartimento di psicologia dell’Università di Oslo, diretto da Bruno Laeng, ha promosso uno studio per chiarire cosa determina il successo, estetico o commerciale, di un’etichetta: sarà interessante conoscere i risultati. Ma non c'è solo il vino di alta gamma, in Toscana. Se ne vende anche pronto da bere, “ma il mio Torchiato da 2 euro sta benissimo nel vetro”, spiega Andrea Landini, vice presidente regionale di Coldiretti. Lui alla bottiglia di carta non ci crede nemmeno come possibile risparmio, “se costa 7-8 centesimi io ci risparmio poco, per me i margini non sono tanto alti”. E ci crede poco anche Massimo Nistri, produttore a Panzano in Chianti e al tempo stesso imbottigliatore da 2 milioni di pezzi all’anno a Prato. “Posso anche fare un test ammette ma penso che le linee di imbottigliamento andrebbero rivoluzionate”. Da lui, come da Landini, va molto il bag in box, la vecchia botticella da spillare, o la vecchia damigiana, diventata scatola di cartone. E’ il mondo dello sfuso, che alla fine potrebbe essere il punto debole. “Ma anche i giovani, che pure bevono poco, al rito del tappo che salta non ci rinunciano”.

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