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La Padania

Addio sughero, arriva il tappo tutto di vetro ... Non è sempre agevole ritrovare di persona tutti gli aromi e profumi che i virtuosi della degustazione individuano in un vino, si può restare sbilanciati in presenza di indicazioni assai articolate, espresse con un linguaggio ricco e talora inquietante. Anche se poi risulta gratificante rintracciare per davvero qualche profumo che magari senza il suggerimento dell'esperto mai avremmo scoperto.
Al contrario non occorre essere particolarmente preparati ed accorti nell'uso dei nostri sensi per trovare un comunissimo difetto di una bottiglia: "sa di tappo" è giudizio categorico e ultimativo, non ammette regole, scatena una reazione a catena, via la bottiglia, cambio del bicchiere, espressione contrita del ristoratore o dell'oste, perfido lampo di soddisfazione nell'avventore che ha scoperto il sapore malandrino ("io sì che me ne intendo!").
Il problema è molto grosso e, va subito detto, non è imputabile a nessuno, può sapere di tappo anche un grande vino, prodotto con tutti i crismi e imbottigliato a regola d'arte: sul banco degli imputati finisce, ahimè sempre più frequentemente, il tappo. È risaputo che il sughero classico proviene soprattutto da Sardegna, Spagna e Portogallo, da sempre fornitrici di un prodotto di alta qualità. Ma i pur diffusi sughereti di quelle terre non sono sufficienti a coprire le richieste di tutto il mondo e tappi provenienti da altre zone, in particolare il Nord Africa, non sono altrettanto affidabili. In ogni caso, come ben sanno tutti i produttori, non esiste assoluta garanzia sulla bontà del singolo pezzo e, soprattutto, non c'è rapporto certo tra il costo e il rendimento, indipendentemente dalla provenienza. Un buon tappo può costare mezzo euro abbondante, altri si trovano a prezzi più modesti, ma, statisticamente, non c'è quella grande differenza nel risultato. Il mio amico Pieri Pittaro, capo carismatico dell'enologia friulana e ben conosciuto anche all'estero, in quanto presidente onorario degli enologi mondiali, parla apertamente di "roulette russa": può infatti accadere che centinaia di bottiglie chiuse con tappi all'apparenza modesti e di poco costo risultino perfette, mentre altre cui si erano riservati tappi più costosi e teoricamente perfetti alla fine tradiscono.
Inutile star qui a disquisire sulle cause scientifiche che originano il temutissimo sapore di tappo, finiremmo per confonderci le idee e perdere il filo. Poco ci importa che lo sgradevole sapore derivi dalla degenerazione di muffe originate dal tricoloroanisolo o da ossidazioni di perossidi, quello che conta è il fatto che un vino che sa di tappo è imbevibile. Alla fin fine il problema riguarda proprio i produttori, per i quali è motivo di dispetto, oltreché perdita economica, constatare che cresce notevolmente il numero delle bottiglie rimandate a causa di quel diffuso difetto. Ma diffuso quanto? C'è chi parla del cinque per cento o giù di lì di bottiglie rovinate: troppe, indubbiamente.
Naturalmente, da tempo ormai, si cercano soluzioni alternative e di maggior affidamento, ma bisogna dire che i risultati, per un motivo o per un altro, non sono stati soddisfacenti. Molto si era sperato nei cosiddetti tappi composti, con particelle unite da leganti collosi e tenute ben separate dal vino da una coroncina di sughero classico: modesti i risultati, frequente la comparsa di odori non riferibili né al vino né al sughero (magari il contenuto non sa di tappo, ma è comunque sgradevole).
Per un certo tempo si è pensato di aver trovato la soluzione adottando tappi di plastica (meglio sarebbe dire al silicone) studiati alla bisogna e ritenuti il definitivo toccasana. L'esperienza ha dimostrato che possono andar bene per vini da bersi giovani, non altrettanto per periodi medio lunghi di affinamento. Alcuni importanti e famosi produttori, mettendo in gioco il proprio prestigio, hanno anche tentato di imporre il tappo corona, utilizzando perfino l'argento come metallo componente, per evidenziare che la scelta non era legata a motivi di risparmio. Niente da fare soprattutto perché nell'immaginario popolare è inguaribilmente radicata la sensazione che le bottiglie chiuse con il tappo corona siano sinonimo di scarsa qualità, di prodotto da battaglia.
Può apparire curioso che, con i progressi tecnologici che ci sono stati, non sia stato risolto questo annoso problema, ma, come si intuisce, bisogna fare i conti anche con la sensibilità dei consumatori, molto legati alla tradizione e portati a ritenere che il buon vino debba necessariamente essere protetto e proposto in bottiglie chiuse con il classico tappo di sughero. Ciò, ovviamente, non significa che non si cerchino ancora soluzioni alternative, quel cinque per cento di scarto è troppo duro da accettare, anche se molti sostengono che la cifra è esagerata: per un produttore vedersi respinta una bottiglia perché sa di tappo è in ogni caso un vero e proprio cruccio, soprattutto quando, ed è il caso più frequente, aveva cercato di cautelarsi acquistando il prodotto più costoso e teoricamente più sicuro. D'altra parte, c'è ben poco da fare: la dimostrazione più lampante sta nel fatto che il temuto odore-sapore salta fuori anche nelle degustazioni che il titolare organizza nella propria cantina, invitando i clienti o più ancora gli amici. Ovvio che in simili circostanze tiri fuori il meglio che pensi di avere e invece...
Ma torniamo a Pieri Pittaro: è un ricercatore, viaggia molto, annusa le novità che compaiono qua e là, attento a tirarne fuori il meglio. Ha scoperto che, in Germania, stanno tentando di orientarsi verso il tutto-vetro: una normale bottiglia bordolese, ovviamente con il collo sagomato alla bisogna, chiusa con un tappo di vetro. Chiusura a macchina, facile da stappare e ritappare con una semplice rotazione della capsula. Può essere un'idea, anche se Pittaro ne è rimasto colpito perché ama in particolare il vetro. Nella sua bella cantina di Zompitta, proprio di fronte all'aeroporto in cui fanno miracoli gli acrobati delle Frecce Tricolori, ha allestito uno straordinario museo del vetro legato al vino, con pezzi di incredibile suggestione. Per un simile estimatore, la bottiglia tutto-vetro sarebbe una vera chicca. C'è comunque bisogno di verificare la fattibilità del progetto e allora Pittaro ha destinato un congruo numero di bottiglie del suo ottimo Cabernet Franc per seguirne l'evoluzione: dalle grandi botti di rovere il vino è passato nelle bottiglie tutto vetro, verrà periodicamente degustato e ne sarà seguita l'evoluzione. Vedremo come andrà a finire. Certo è che, in ogni caso, se davvero un domani ne dovessimo fare a meno, sentiremo anche la mancanza del vecchio glorioso cavatappi, fondamentale strumento a corredo di ogni gaia aggregazione di fronte a una buona bottiglia.

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