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La Repubblica

Bollicine del Paradiso, abbinatele così ... Gli spumanti Trentodoc, con vigne fino a 900 metri sul livello del mare, hanno un’ampia varietà di tipologie. Come sposarli con i piatti? Seguendo i consigli del sommelier e le indicazioni della app... Nonostante l’inflazione e gli effetti della guerra, il settore dei vini spumanti tiene e per gli italiani le bollicine restano un ingrediente conviviale imprescindibile nei brindisi delle feste. In un panorama che ogni giorno si arricchisce di prodotti inediti, restano dei capisaldi. Tra le eccellenze made in Italy ci sono sicuramente i vini che possono fregiarsi del titolo Trentodoc (www.trentodoc.com), primo metodo classico a ottenere, nel 1993, la Denominazione di origine controllata in Italia e fra i primi al mondo. Trentodoc identifica il cosiddetto metodo classico “di montagna”, e non si tratta di un modo di dire. Questi vini - oltre 220 etichette prodotte da 66 case spumantistiche che hanno sottoscritto il disciplinare - sono espressione del territorio del Trentino e delle alture dolomitiche. La viticoltura sostenibile, l’escursione termica (le vigne arrivano anche a 900 metri s.l.m.), l’acidità delle uve creano un vino eccezionale, conosciuto, riconosciuto e premiato in tutto il mondo (vedi anche box). Sei i distretti di produzione e quattro le uve permesse dal disciplinare (soprattutto Chardonnay e Pinot nero, poi Pinot bianco e Meunier), coltivate prevalentemente a pergola trentina, come un tempo. Tantissime quindi le sfumature di questo vino, che varia a seconda della tipologia, con un riposo sui lieviti che va da un minimo di 15 mesi per i Senza Annata a un minimo di 24 per i Millesimati, fino ad almeno 36 per i Riserva, un termine in realtà prolungato da tutte le case. “Cosa è, per me, il Trentodoc?”, ci racconta Alessandro Nigro Imperiale, appena eletto Miglior Sommelier d'Italia Associazione Italiana Sommelier 2022 - Premio Trentodoc. Di origine pugliese, Imperiale ha 31 anni e lavora attualmente in Francia al Four Seasons Grand Hotel di Saint-Jean-Cap-Ferrat: “è un metodo classico”, continua, “rifermentato in bottiglia, ma è davvero difficile definirlo, perché sono molte le variabili che influiscono su ogni bottiglia: il terroir, con tutti i suoi fattori, umani, ambientali, l’uvaggio, la densità, i metodi di cantina, l’invecchiamento sui lieviti. Ognuna è differente per complessità aromatica ed esperienza gustativa”, e aggiunge: “perciò conoscendo le tipologie si può costruire un intero menù in abbinamento. Al concorso del miglior sommelier, per esempio, una delle prove era con una granita di lime al profumo di gin e tartare di gambero, scampi e cicale di mare. La scelta, per un piatto dolce, grasso e con l’acido dell’agrume come questo, era fra quattro diversi Trentodoc. Secondo me bisognava scegliere un prodotto avvolgente, morbido, grazie ai polialcoli. E così, anche se si trattava di una entrée, ho abbinato un rosé brut, scelto proprio anche per il contenuto di zucchero”, e il risultato gli ha dato ragione. “Alla base dei Trentodoc c’è sempre questa freschezza gustativa, ma si può giocare con gli zuccheri e con il metodo di vinificazione”, ci spiega Imperiale, “conoscendo lo spettro delle tipologie, come dicevo, si può bere Trentodoc a tutto pasto. Io sono pugliese e a Natale dalle mie parti mangiamo molto la frittura di mare, con totani, seppie e gamberi. Un piatto tipico è il cuoppo di fritto misto, a Foggia poi si fa il capitone fritto, un pesce grasso e dolce, che sta molto bene con una bollicina che pulisce il palato. Per un aperitivo, partirei con un Trentodoc extra brut o pas dosé e poi crescerei con i piatti con un Pinot nero con affinamenti dai 36 mesi in su, fino ad arrivare per i i piatti principali a Trentodoc Chardonnay affinato 60 mesi”. Troppo difficile? C’è uno strumento di facile uso per scoprire gli abbinamenti giusti (ma anche gli eventi legati al mondo Trentodoc): l’app Trentodoc, che contiene le schede tecniche di tutte le etichette, con descrizione del vino, tipologia, vitigno e numero di mesi di permanenza sui lieviti. Per organizzare a casa degustazioni, per esempio, per dosaggio zuccherino (pas dosé, extra brut, brut, extra dry, dry, demi sec) o per tempi di permanenza sui lieviti. Oppure si può degustare la stessa etichetta di annate diverse, partendo dalla più giovane. O ancora almeno tre etichette della stessa annata o de gli stessi uvaggi, ma di territori diversi. In ogni caso tutte da servire fra i 6 e 8 °C, o 8-10° C per le tipologie più evolute.

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