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La Repubblica / Affari & Finanza

Rapporti Piemonte - Enogastronomia, una miniera d’oro: vino e tartufi, cioccolato e formaggi, dalle vigne e dai campi ricchezza e tanta esportazione ... «All’inizio degli anni ‘80 - ricorda Roberto Voerzio - andavo a Milano di persona a vendere il vino. In due, su una Cinquecento, con dieci casse di bottiglie sul sedile posteriore: giravamo decine di ristoranti, ma in una settimana non riuscivamo a venderle». Vent’anni dopo i vini di Voerzio, uno dei grandi di Langa, sono quasi introvabili: ci sono nelle carte dei migliori ristoranti del mondo, a New York come a Singapore, ma a prezzi stellari. L’anno scorso un suo barolo ha avuto cento centesimi, da Wine Spectator, la più prestigiosa rivista americana di enologia. Una storia come tante, in un Piemonte che in questi ultimi anni ha trovato nei campi e nelle colline il petrolio e l’oro. Li aveva da sempre in realtà, vino e tartufi. Ma nell’ultimo decennio ha saputo trasformarli in marchi di prestigio che hanno portato il nome della regione in tutto il mondo. Più della Fiat e della Juventus, ormai. E che hanno cambiato la vita di intere zone, come la provincia di Cuneo, un tempo tra le più povere d’Italia, oggi tra le più ricche. Qualche cifra, per capire: una bottiglia di Barolo, o di Barbaresco, vent’anni fa, costava 10 mila lire. Oggi i meno pregiati si comprano per 50 mila lire (26 euro). Ma per i nomi famosi, dai pionieri Gaja e Ceretto, ai grandi vecchi Conterno e Mascarello, da quelli della generazione di mezzo come Voerzio, Clerico, Rivetti, Altare fino ai giovani Boglietti, Veglio, Corino e molti altri non bastano 100 mila lire (oltre 50 euro) e spesso si va molto più su. E il tartufo non è stato da meno: era già caro dieci anni fa, ma le 50 mila lire l’etto del ‘90 sono diventate quest’anno un milione (516 euro). Si è creato un meccanismo virtuoso che si è trascinato dietro un’intera economia. Ai piccoli produttori di qualità, vere griffe enologiche da 50100 mila bottiglie l’anno, si sono affiancate, con vini di pregio, aziende come Marchesi di Barolo, Fontanafredda, Terre da Vino, Michele Chiarlo: case da un milione e più di bottiglie, in grado di soddisfare le esigenze di un mercato sempre più ampio (e in cui l’esportazione ha un peso importante). Sulla scia del Barolo sono arrivati altri vini come la Barbera, quindici anni fa, dopo lo scandalo del metanolo, all’indice, oggi in grado di competere con i migliori del mondo: Martinetti, Correggia, Bologna, i nomi più famosi. Alla Langa si sono affiancate altre zone, dal Monferrato, al Roero. Sono arrivati i turisti, centinaia di migliaia, dalla Svizzera e dalla Germania prima, poi anche americani, giapponesi. Sono nati e cresciuti grandi ristoranti, alberghi, agriturismi. Il boom del vino si è allargato, ha creato un indotto sempre più ampio. E il suo modello che ha usato la qualità per creare ricchezza e per aprire i mercati anche alla quantità, sta cambiando l’agricoltura e l’allevamento della regione: la crisi di mucca pazza, per esempio, ha trovato in Piemonte un consorzio privato, il Coalvi, che da anni certificava origine e pedigree degli animali macellati, tutti di razza piemontese. Così, mentre l’acquisto di carne bovina scendeva al minimo storico, Coalvi aumentava le vendite. E un discorso simile si potrebbe fare con i formaggi (il Piemonte è la regione d’Italia con più Dop, denominazioni di origine protetta). O con il cioccolato, altro prodotto tradizionale, dove alle grandi aziende come Ferrero, Pernigotti, Novi si stanno affiancando piccoli produttori di qualità come il torinese Gobino, l’inventore del mini gianduiotto. Ultime ma non meno importanti sono nate e cresciute grandi manifestazioni promozionali (il Salone del Gusto e quello del Vino a Torino, Cheese a Bra), e sempre a Bra, sta per nascere, su iniziativa di Slow Food, l’Università dell’enogastronomia. È già nata invece una scuola internazionale per cuochi, l’Icif a Costigliole d’Asti, che ospita ogni anno giovani chef di tutto il mondo e che tra qualche mese aprirà una "filiale" a Shangai.

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