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La Repubblica / Affari & Finanza

Dal vicentino al profondo sud, un investimento di vino. Gianni Zonin ha tenuto a battesimo il "Feudo di Butera" da cui punta a conquistare il mercato mondiale ma di qualità ... Da Gambellara, nel vicentino, ha deciso di andare a investire nel profondo Sud, in Sicilia. Ma non per metter su un megastabilimento, una di quelle vecchie "cattedrali nel deserto" venute su con i contributi pubblici. Pronte, sì, a dar lavoro a migliaia di dipendenti ma altrettanto veloci ad abbandonare fabbrica e operai alla prima difficoltà. Gianni Zonin, oggi tra i più grandi vignaioli d’Italia e d’Europa con 11 tenute in 7 regioni diverse, è stato il primo ad approdare in Sicilia, nel 1997 (e poi, tre anni dopo, anche in Puglia, nel Salento). Con un investimento di 40 miliardi di lire (circa 20 milioni di euro) è andato giù con un obiettivo, produrre appunto vino. E a distanza di cinque anni non può certo dirsi pentito del suo investimento. Il 25 maggio scorso, alla presenza di giornalisti provenienti da diversi paesi, il battesimo ufficiale del più antico insediamento dei primi Principi di Sicilia, "Feudo Principi di Butera", una collina tra il mare e le montagne del Nisseno (presso Caltanissetta), ideale per produrre grandi vini.

La Sicilia non è certo una terra facile. A parte altre questioni, c’è il problema delle infrastrutture, dei trasporti. Non è un ostacolo sia per la produzione che per la commercializzazione?

«No, tutt’altro. Nel nordest non si circola, la congestione delle strade è il primo limite allo sviluppo della competitività delle imprese. In Sicilia questo problema non sussiste, non c’è traffico, si percorre facilmente tutta l’isola. Abbiamo scelto la Sicilia, una delle miglior terre da vino del mondo, perché vogliamo produrre vini di qualità in grado di contrastare la pressione sul mercato mondiale di paesi, come il Cile e la California o il Sud Africa. In questo territorio, attraversato dalla brezza della montagna e dalla brezza del mare, c’è un microclima perfetto per produrre vini in linea con le nuove richieste dei consumatori, sempre più orientati verso vini corposi, strutturati, mediterranei, con un patrimonio varietale di primissimo ordine».

Qualcuno potrebbe far notare che un’azienda vinicola non è come una fabbrica di automobili, non fa numero in termini di occupati, non riguarda la fascia più qualificata di forza lavoro.

«Quando parlo con i miei amici siciliani dico sempre che la loro terra ha due grandi ricchezze, il turismo e l’agricoltura. E’ una terra bella e i prodotti della terra vengono su facilmente. Abbiamo avuto modo di vedere la facilità con cui cresce la vigna e non solo. Mentre in altre tenute dobbiamo ricorrere a trattamenti anche diecidodici volte l’anno, a Butera parassiti e malattie attaccano raramente. Ecco, penso che una delle strade principali da percorrere per lo sviluppo di questo territorio è proprio la valorizzazione di queste due grandi ricchezze, attraverso lo sviluppo della piccola e media impresa radicata sul territorio. E in effetti molti passi sono già stati già fatti in questa direzione.

La scorsa settimana Luca Paschina, l’enologo della vostra tenuta Barboursville Vineyards, in Virginia, è stato premiato dagli americani "Personaggio del Vino dell’Anno". E le prime bottiglie di Feudo Principi di Butera, frutto della competenza di un altro grande enologo, Franco Giacosa, hanno ottenuto i massimi riconoscimenti da alcune guide di settore. Quale ruolo riveste Butera nelle strategie di sviluppo in campo enologico, sia in termini di produzione che di immagine di marchio, anche all’estero?

«La Sicilia è la punta di diamante della nostra produzione. In questi cinque anni abbiamo avuto modo di verificare che la nostra intuizione era giusta, che quest’isola è una terra vocata a produrre vini di grande qualità. E la nostra scommessa è tanto più significativa in quanto questa regione, che un tempo era il più grande serbatoio di vini da taglio per il nord Italia e per il resto del mondo, oggi può rispondere perfettamente alle nuove tendenze del mercato, sempre più orientato sul prodotto di fascia alta. La Sicilia ha terroir e storia e noi produciamo vini tipici ma nello stesso tempo con forte appeal internazionale. Il vitigno principe, è ovvio, è il Nero d’Avola, col quale possiamo competere sui mercati internazionali imponendo un vino italiano. Ma a Butera crescono bene anche Cabernet Sauvignon, Merlot e Chardonnay, i vitigni che più facilmente incontrano il gusto della gente, ma a cui il territorio siciliano conferisce un impronta particolarissima».

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