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La Repubblica / Affari & Finanza

Primi negli Usa, ma servono nuovi sbocchi. Nonostante la concorrenza sempre più agguerrita, soprattutto degli australiani, le nostre aziende sono al top nella classifica delle vendite negli Usa. L'imperativo, però, adesso è quello di conquistare altre aree e di far crescere la domanda interna ... «Dura ormai da venti la storia del rapporto del marchio Santa Margherita col mercato americano, legata all’intuizione di puntare tutto sul Pinot grigio che ha conosciuto in Usa un grande boom negli ultimi dieci anni»; racconta la storia del loro successo Oltreoceano Ettore Nicoletto, direttore di Santa Margherita, il marchio di proprietà della Zignago Marzotto che negli Stati Uniti realizza circa il 50% del proprio giro d’affari, pari a 70 milioni di euro. Santa Margherita è una delle cantine che più vendono negli Stati Uniti, secondo le classifiche stilate da Italian Wine & Food Institute. E non ha segnato il passo neanche negli ultimi anni, nel corso della grande crisi economica americana ha inferto un duro colpo all’export italiano, superato Oltreoceano dalle etichette australiane, che ormai danno filo da torcere ai nostri produttori.

Sul mercato americano siamo tornati al top delle vendite nel 2003. E lo siamo ancora. «I dati definitivi del 2004 vedono ancora prime e in aumento le nostre esportazioni negli Usa, con un incremento del 4% in valore e del 3% in volume», racconta Giuseppe Martelli, direttore generale Assoenologi nonché presidente dell’Union Internationale des Oenologues, la Federazione mondiale delle associazioni di categoria dei tecnici viticoltori. Ma allora, il mercato del vino è in crisi, come dicono tanti, oppure no? «Ci sono aziende con il vento in poppa e altre in profondo rosso, il che vuol dire che ci sono vini che tirano e altri che nessuno vuole», commenta Martelli.
Secondo le classifiche di Italian Wine and Food le aziende al top delle vendite oltreoceano sono le Cantine Riunite, Cavit e Gruppo italiano vini. Tra i primi sedici rientrano Bolla, Castello Banfi, Folonari, Mezzacorona, Casa Girelli, Ruffino, Santa Margherita Frescobaldi, Zonin e Enoitalia. E il trend di crescita del mercato statunitense sembra destinato a continuare. Secondo i dati forniti dal presidente degli importatori americani di vino al congresso degli Assoenologi dello scorso anno i consumi di vino in America aumenteranno per almeno altri 5 anni. Ma parallelamente aumenterà la concorrenza che vede avvantaggiati l’Australia e, tra i paesi europei, la Spagna. Senza contare la maggior attenzione dei consumatori al rapporto qualità prezzo. E il mercato Usa, colpito da una grande crisi, si sta adeguando ai nuovi bisogni: «Una bottiglia che due anni fa era venduta a 10 dollari oggi si trova a 8», racconta Ettore Nicoletto.

Su 100 euro di export agroalimentare italiano, 20 sono costituiti da prodotti derivanti dal vigneto, vini e spumanti, dicono i dati Assoenologi. Ma il futuro è tutto una scommessa. «Rimane difficile pensare a un sensibile incremento dei consumi interni e, pertanto - commenta Martelli - lo sviluppo si giocherà sulla capacità di individuare e conquistare sempre maggiori spazi all’estero. Ma non sarà facile visto che i concorrenti stranieri aumentano e hanno sempre maggiore aggressività».

Il mondo del vino è diventato il campo di una grande guerra battuta mondiale: la produzione della Spagna è passata da 30 a oltre 43 milioni di ettolitri, quasi 50 nel 2005 e le sue esportazioni sono aumentate del 10%. L’Australia ha quasi triplicato in dieci anni la sua superficie vitata e oggi produce circa 15 milioni di ettolitri all’anno, di cui 75% esportati. Quattro aziende, dicono le rilevazioni Assoenologi, fanno il 70% dell’imbottigliato. Il Cile in pochi anni è passato da 4 a 7 milioni di ettolitri: nel 2000 ne esportava il 60%, quota che, secondo le stime Assoenologi, arriverà a 80% entro la fine del 2005. E l’Italia? Le nostre esportazioni sono cresciute del 10% sia in valore che in volume e il vino costituisce il 50% del nostro export agroalimentare in Canada, il 40% negli Usa e Giappone.

E in Italia? Nel 2003, anno di grande crisi dell’export ha fatto segnare un crollo. I tassi di crescita attuali contribuiscono a riassorbire il terreno perso, ma ancora non abbiamo riconquistato tutte le posizioni di partenza. Si dice da più parti che il nostro mercato è in crisi, Ma in netta controtendenza appaiono le valutazioni dei produttori. Su 50 grandi aziende interpellate da WineNews - fra le più importanti del settore e posizionate nella gamma medio/alta della segmentazione di mercato - i fatturati risultano in crescita nel 70% dei casi e la stessa percentuale si dichiara ottimista per il futuro, scommettendo che anche questa tendenza si manterrà nell’anno in corso. La fascia più alta del mercato, appunto, proprio quella che in Italia è stata invece a lungo sacrificata. E’ qui che bisogna riposizionarsi, secondo Angelo Gaja, grande produttore di Barolo e Barbaresco, molto apprezzato in Usa. Come? Imparando dagli americani che hanno fiutato per tempo la tendenza. «Sembra che Costellation Brand abbia dato una scampanellata al mercato», ha dichiarato Angelo Gaja proprio nei giorni scorsi facendo notare come il gruppo americano stia facendo shopping di cantine che producono esclusivamente premium wine, vini di eccellenza. A partire dalle nostre, come Mondavi, Ruffino e Ornellaia.

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