02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024

La Repubblica / Affari & Finanza

Cantina Italia fa shopping all'estero. La scommessa dei fratelli Piero e Lodovico: 28 milioni di euro per tornare a lavorare insieme, dai vigneti della Toscana alla Nuova Zelanda. Ma gli altri non stanno a guardare. E Ilva di Saronno fa acquisti in Cina ... Un investimento da 28 milioni di euro. E’ la scommessa sul vino che ha riunito insieme Piero e Lodovico Antinori. Dopo ventotto anni i due fratelli tornano a fare affari di famiglia insieme in un grande progetto che parte dai vigneti della Toscana e arriva fino a quelli della Nuova Zelanda. La riunificazione è da annoverare tra i grandi eventi dell’anno nel mondo del vino, dove i marchi italiani hanno giocato sempre un ruolo di primo piano. E in modo particolare gli Antinori, tra i primi produttori vitivinicoli del nostro paese. Loro, come i Mondavi, sono tra i protagonisti di Mondovino, il film di Jonathan Nossiter in uscita proprio in questi giorni nelle sale cinematografiche italiane, a cui la stampa internazionale ha dedicato ampi servizi. Un film che racconta la saga delle grande famiglie del vino, il loro legame col territorio. Il terroir, come dicono i francesi, primi a capire il valore aggiunto che la terra d’appartenenza conferisce alla bottiglia.
Il territorio della nuova sfida degli Antinori si chiama Campo al Sasso di Bibbona. Sta in Maremma, Toscana, la terra da dove Piero, da una parte, con la Marchesi Antinori e Lodovico, dall’altra, con l’Ornellaia, da Bolgheri hanno portato all’olimpo dell’enologia mondiale i vini italiani. In Maremma, a maggio partiranno i lavori per la costruzione della nuova cantina progettata da due firme d’eccellenza, Gilbert Bouvet e Gae Aulenti e che sarà pronta nel 2007. Ma Campo al Sasso ha una dependance in una vasta zona della Nuova Zelanda, La Campo di Sasso Limited di Marlbourgh che già commercializza il “Mount Nelson” un Sauvignon Blanc, la prima annata è del 2004, per la cui produzione questa area è particolarmente vocata. Dalla Napa Valley, alla Columbia Valley, dal Cile a Malta, gli Antinori hanno fiutato con largo anticipo i nuovi mercati di produzione. Fino all’Ungheria, dove insieme a Jacopo Mazzei e Peter Wack (produttore dell’Unicum) ha comprato una tenuta quindici anni fa.
I paesi dell’Europa dell’est hanno il loro fascino anche in vigna. Fabio Albisetti della Castello della Paneretta e Genagricola, del gruppo Generali, hanno investito in Romania. Mastroberardino in Bulgaria, come anche i piemontesi Miroglio. In Tunisia ha ampliato i suoi confini la sicilina Calatrasi, vera e propria case history della viticoltura. Mentre la friulana Fantinel è arrivata addirittura a San Cristobal di Cuba. E poi c’è chi già pregusta il boom della Cina: dopo Sella & Mosca approda sul mercato asiatico Ilva Saronno, del famoso amaretto, che ha stretto in questi giorni un accordo per comprare il 33% Changyu Group col numero uno cinese del vino.

«Il mercato del vino è diventato anche un mercato globale, come quello dell’auto, dei pc e della moda. Gli stranieri vengono in Italia a comprare, ma anche gli italiani vanno a comprare all’estero. Basta con l’immagine delle tenute italiane preda dello shopping straniero», commenta Alessandro Regoli, direttore di WineNews, il portale diventato osservatorio privilegiato per registrare le nuove tendenze del settore.

Gli investimenti in Italia, dice una recente indagine effettuata da Mediobanca, hanno subito una flessione del 27%, anche a causa dei prezzi record raggiunti dai terreni coltivati a vigna. E in questo scenario di internazionalizzazione, chi può, quando può, va a investire all’estero. Il supereuro, segnala sempre Mediobanca, potrebbe far da volano per possibili investimenti in aree extraeuropee, come Sud America, Asia e Australia. Un passo necessario per acquisire un peso di rilievo sullo scacchiere mondiale.

Solo due imprese italiane sulle 71 analizzate da Mediobanca, infatti, superano i 200 milioni di fatturato, sono entrambe cooperative, Caviro e Giv, mentre per raggiungere il volume d'affari della maggiore impresa europea, la francese Castel, occorre sommarne sette. La ricerca di Mediobanca evidenzia comunque che mediamente la struttura finanziaria delle aziende vinicole italiane è ancora solida. Il rapporto tra patrimonio e indebitamento resta infatti equilibrato, anche se l'elevato livello di investimenti nel biennio 2002-2003 e la decelerazione delle vendite l'anno scorso hanno ridotto la profittabilità.

Acquisizioni, fusioni, partnership. Nel vino come in tutti i settori, il futuro si gioca sulla globalizzazione. Il fascino della doppia vendemmia, come la chiamano, ha colpito i veneti Masi che hanno acquistato in Argentina. E ha visto giusto chi si è mosso per tempo, come Gianni Zonin, che alla fine degli anni 70 ha puntato su Barboursville in Virginia. «L’azienda è cresciuta, sta andando bene e contribuisce a dare prestigio al modello di business degli “italiani in vigna”», commenta Gianni Zonin. Piedmont Region, così Thomas Jefferson, ex presidente Usa, definiva quella che un tempo era stata la sua tenuta: e nella tenuta oggi degli Zonin ha trovato una collocazione ideale proprio un vitigno piemontese, il Nebbiolo. Che porta il marchio Zonin insieme ai Cabernet Franc, Sauvignon, Barbera e Pinot Nero. L riprova che la concorrenza fa da traino al mercato: negli anni 70 c’erano tre cantine in Virginia, oggi se ne contano 65. E per la maggior parte utilizzano i grandi vitigni d’Europa.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024