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La Repubblica / Affari & Finanza

Una buona bottiglia fa bene al portafoglio ... L’incremento maggiore determinato dai marchi sotto i cento dollari, il segno di una nuova tendenza cresciuta all’ombra dei collezionisti da antiquariato. Due studios dell’Aawe, american association of wine economist, hanno provato che diversificare il giardinetto titoli con una quota investita in etichette pregiate aumenta il ritorno e riduce la volatilità. Soprattutto in tempi di crisi questa “asset class” si è rivelata utile per bilanciare... Una bottiglia di Lafite Rothschild è stata venduta all’asta nel 2003 a 490 dollari di media. A distanza di sei anni è stata battuta a 2.586 dollari, fruttando a chi l’ha venduta un ritorno annuale del 70%. Non sono da meno i vini di alta gamma italiani: un Barbaresco riserva Santo Stefano quotava nel 1982 un prezzo medio di 135 dollari, nel 2009 è arrivato a 613. Mai come negli ultimi anni l’interesse si è indirizzato con maggiore attenzione su questo tipo di investimento. Le aste di vini pregiati hanno toccato livelli record. Il Masseto dell’Ornellaia, dei Frescobaldi, ha raggiunto il top nei giorni scorsi: 3.970 euro per un Doppio Magnum del 2006 “Le bottiglie di alto livello stanno avendo un successo straordinario con i consumatori dei paesi emergenti che tirano su le offerte. Per cui hanno resistito alla crisi molto bene. Un esempio è il boom del Cognac XO in Cina, che consente di bilanciare le perdite su altri mercati e asset per i giganti del lusso come Lvmh”, spiega Luca Solca, senior research associate per European General Retail & Luxury Goods di Sanford C. Bernstein, con sede a Londra, una piazza storica per capire come spira il vento sul mercato del vino.
Gli asiatici sono disposti a tutto: all’ultima vendita di Bordeaux Index, uno dei più grandi trader di etichette pregiate, un asiatico ha sborsato 45.000 sterline per una imperiale (6 litri) di Petrus 1982, il massimo degli ultimi tredici anni. E a Hong Kong, a marzo dello scorso anno, in piena crisi, un Krug del 1928 ha battuto il record mondiale della bottiglia di Champagne più cara venduta da Acker Merrall & Condit, a 16.000 euro.

Collezionisti, amanti del vino, bon vivant: sono solo la punta dell’iceberg. Il mercato sta cambiando. Si è affermato un nuovo modo di avvicinarsi alla bottiglia, con gusto ma minore ostentazione. Frutto dell’incrocio tra diversi fattori. La possibilità di accedere alle sedute più importanti di Christie’s e Sotheby’s anche online, sta ampliando la platea dei partecipanti. Ci sono poi le aste su eBay. Il boom dei corsi per sommelier hanno creato una classe di consumatori esperti, che vengono educati a scegliere con cura le bottiglie.

In questo scenario il salto dal piacere all’investimento è facile. “I vini sono la nuova frontiera dell’investimento alternativo anche in Italia”, commenta Marco Mazzoni, direttore di Magstat di Bologna, che ogni anno realizza un osservatorio sul Private banking, gestioni di portafogli ricchi, i più attenti a nuove forme di diversificazione. E il guadagno c’è. Il Livex, per esempio, che segue il trend degli scambi dei 100 migliori vini del mondo, cresce al ritmo del 19,3% l’anno.
A rendere ancora più dinamico il mercato un altro trend: finanzieri e personaggi dell’industria si sono avvicinati al vino come produttori, in molti casi, come per Bernard Arnault, a capo di Lvmh, big del lusso, con grande impatto sui bilanci. In Italia c’è il banchiere Gerardo Braggiotti, Banca Leonardo, che fa un Pinot Nero dell’Oltrepo’ pavese che in pochi anni ha scalato le guide. Il petroliere Brachetti Peretti, che ha vigneti nelle Marche e in Sicilia. Per non parlare degli industriali della moda: Patrizio Bertelli Prada, Antonio Moretti, Carshoe e Arfango, tutti produttori di grandi vini. Nasce "vignaiolo" Mario Moretti Polegato, inventore delle Geox: suo fratello Giancarlo è a capo del regno vitivicolo di famiglia, che oggi si è accresciuto con una linea di cosmetici basati sul vino. E insieme fanno sinergie.

A tenere alti gli indici non sono le bottiglie più care, ma quelle prestigiose a costi più contenuti. Proprio quelli che oggi fanno più tendenza. “La gente vuole vini di lusso a prezzi low cost”, spiega Mauro Remondino, creatore di un raffinato blog mylowburninglife.blogspot.com, che intervistando star dei fornelli e sommelier illustri punta a far conoscere ristoranti a 25 euro, etichette pregiate a basso costo.

Il vino, insomma, fa bene al portafoglio. E’ quanto spiega uno studio appena pubblicato dall’Aawe, american association of wine economists che annovera economisti di prestigiosi campus in primo luogo Harvard. Raise your glass: wine investiment and the financial crisis, "alza il tuo bicchiere: investimento in vino e crisi finanziarie", questo il titolo del lavoro realizzato da Philippe Masset e Jean Philippe Weisskopf, Secondo, dimostra come il vino si presti a diventare una vera e propria asset class alternativa, capace di ridurre la volatilità nei portafogli di investimento e di aumentare la redditività e ridurre i rischi. Soprattutto quando l’economia va male.

I due studiosi hanno utilizzato un enorme ma unico database relativo al periodo 19962009, in modo da coprire due fasi di boom e le due maggiori crisi finanziarie per studiare rischi, ritorni e benefici della diversificazione. L’attenzione si è focalizzata sulle annate tra il 1981 e il 2005, questo ha consentito agli studiosi di scartare etichette considerate "antiquariato" e non vino. E tra queste annate, sono state scelte solo quelle che hanno fatto registrare più scambi. Come dire investimenti liquidi, con molto trading.

Attraverso la creazione di un nuovo indice, General wine index, i due economisti hanno seguito la curva realizzata dalla prima fase di crescita dei cru delle diverse regioni: tutte hanno seguito il trend dell’indice, ma con ampiezze divergenti. Nel periodo 19962009, i francesi l’hanno fatta da padroni, ma anche Oltralpe c’è un rimescolamento del mercato. I più redditizi si sono rivelati infatti i vini della Borgogna e della valle del Rodano, con un ritorno del 300%. Gli storici Châteaux di Bordeaux, invece, hanno fruttato meno, ma sempre tanto: il 200%. Il ritorno per i vini americani è stato solo del 66% mentre per gli italiani del 125%. L’indice del vino ha battuto nei momenti peggiori della crisi l’indice Russell, mostrandosi meno volatile. E i migliori risultati li hanno dati le bottiglie meno care: a fronte di +120% per etichette sotto i 200 dollari, quelle sotto i 100 hanno fatto registrare +170%. Attraverso simulazioni varie, infine hanno mostrato l’impatto anticiclico nei portafogli.

In Italia, manca però un passaggio per il salto definitivo, una maggiore contiguità tra i due mondi. “Chi vuole investire in vino non si rivolge al canale bancario o dei promotori, ma alle società specializzate. Invece bisognerebbe fare scelte integrate di portafoglio”, racconta Patrizio Pazzaglia, direttore finanza di Banca Insinger di Beaufort, boutique del private banking. Spiega Pazzaglia: “Io consiglio di non superare la quota del 10% della quota che si vuole assegnare agli investimenti alternativi: si tratta infatti di asset scollegati dai mercati finanziari e difficilmente liquidabili”.

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