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La Repubblica / Affari & Finanza

Fiere, Verona riapre il valzer delle alleanze … La partita veronese può innescare un effetto domino che potrebbe arrivare fino agli altri maggiori poli del settore, da Milano a Bologna e a Rimini ... Il Comune deve vendere una metà della sua quota per fare cassa e si accendono le polemiche sui possibili acquirenti. Il sindaco Tosi dice no a soci esterni al territorio e pensa in particolare ai francesi di Gl Everits. E Zonin presidente della Popolare di Vicenza rilancia il polo del Nord Est... La parola chiave è “territorio”. Di privatizzazione o di quotazione non parla più nessuno. Caso mai è auspicata una strategia di alleanze, tentando anche per questa via di abbassare i costi. Le fiere, grandi e piccole, sono alle prese con il tema della sopravvivenza e di una competizione enfatizzata a mille dall’onda della crisi, che ha investito in pieno il settore a livello europeo. E non possono più battere cassa dai soci storici, quasi sempre enti locali alle prese con problemi finanziari da allarme rosso. Emblematico il caso di VeronaFiere, dove è in vista un importante riassetto del capitale, e che potrebbe essere l’innesco di un processo capace di interessare vari altri poli fieristici. Il Comune di Verona possiede da sempre il 54% dell’ente fiera scaligero. Di ente si tratta, perché fu tra i pochi attori del settore a non volersi trasformare in società per azioni nemmeno quando pareva che la normativa europea lo pretendesse. Nei giorni scorsi, il Comune ha deciso di vendere il 24% e conta di incassare - posto che l’ente è stato valutato nel complesso 141 milioni - una quarantina di milioni di euro. Il bando di gara avrà una base d’asta di 33,84 milioni.quale che sia l'importo finale, una quota andrà nel bilancio del Comune per rispettare il patto di stabilità, una parte per finanziare nuove infrastrutture e infine una parte per rimpinguare il fondo di dotazione dell’ente fiera (che dovrebbe salire da 8 a 50 milioni di euro). E il tutto rimanendo il socio di riferimento dell’ente fiera. La quadratura del cerchio, se l’operazione avrà successo come tutti gli indizi lasciano pensare.
L’assemblea di Verona Fiere nei giorni scorsi ha modificato lo statuto, introducendo il diritto di prelazione e di gradimento, oltre all’aumento del fondo di dotazione e alla riduzione a 5 dei membri del consiglio di amministrazione. Il senso lo dice senza fronzoli il sindaco Flavio Tosi, leghista, quando sostiene che “non è assolutamente immaginabile che possano entrare nuovi soci che siano in conflitto di interesse. Chi entra deve avere a cuore la crescita del territorio”. Ecco la parola magica. Territorio. Che è la chiave per stabilire il “no” senza appello a Fiera Milano e ai francesi di Gl Events, che furono protagonisti dell’abortita stagione delle privatizzazioni nelle fiere italiane e che sono azionisti a Padova, Bologna, Torino, Rimini. Del resto, della necessità che “la fiera sia volano di sviluppo del territorio in cui opera” e che risponda “in primo luogo alle istanze degli interessi generali”, con questo ammettendo la supremazia della politica, è portatore pure un industriale di dichiarata cultura liberista e di profilo internazionale come Ettore Riello.

Da presidente di Verona Fiere dice di avere maturato la convinzione che la fiera non fa bene il suo mestiere se è in mano a un soggetto privato. E vedremo dunque a chi andranno in mano le quote messe in vendita dal Comune. Gianni Zonin, presidente della Banca Popolare di Vicenza, manifesta senza remore “forte interesse” all’operazione. Ma si sono fatti avanti in formalmente pure la Cattolica di Assicurazioni e Veneto Sviluppo, finanziaria della Regione Veneto. E accanto a questi potenziali nuovi soci, intende presentare un’offerta pure la Camera di commercio di Verona, che è tra i fondatori dell’ente scaligero. Zonin ritiene che, date le condizioni della finanza dello Stato e degli enti locali, “in un arco di tempo ragionevole sarà necessario diminuire il peso specifico del pubblico nell’economia e anche le fiere dovranno funzionare in uno schema privatistico, con imprenditori e associazioni imprenditoriali tra i soci, superando le logiche di campanile e le diseconomie”. Zonin in sostanza rilancia l’aggregazione tra le fiere del Nordest, che da Trieste a Udine, da Pordenone a Venezia segna i bilanci di rosso e che pure nell’ex florida Vicenza ha i conti in affanno. Al riguardo, da segnalare che Tosi all’Arena ha dichiarato che dalla vendita delle quote comunali “trarrà beneficio non solo la fiera di Verona ma l’intero sistema fieristico veneto e le manifestazioni di interesse che abbiamo avuto vanno in questa direzione”. E Riello aggiunge che il cantiere avviato da Tosi “apre nuove frontiere”. Vedremo se la partita di Verona innescherà un domino. Per ora tutti gli attori in campo nel settore fieristico sono concentrati sull’imperativo di far quadrare i conti. Tanto che, per esempio, la Fiera di Rimini enfatizza nel suo comunicato a valle dell’assemblea di bilancio che, a fronte di un valore della produzione pari nel 2010 a 79 milioni di euro, l’utile netto è consistito in 2,2 milioni, che “è il miglior risultato fra tutte le fiere italiane”. Riferimento indiretto al gigante del settore, Fiera Milano, che è tornato all’utile dopo i 2,4 milioni di perdita registrati nel 2009, però si è fermato alla soglia di 2,1 milioni di profitti netti. E Bologna Fiere, con la stessa forma mentis, pone nel titolo del suo comunicato di bilancio che “ritorna in attivo”, avendo ricavi consolidati per 109,7 milioni e un utile netto di pertinenza del. gruppo di 497mila euro.

Tutti devono fare i conti con un mercato devastato, e quindi i principali player hanno intrapreso in sostanza le stesse politiche: drastica riduzione dei costi operativi, espansione all’estero, acquisizione di nuove manifestazioni e congressi per affittare più spazi nei quartieri in Italia. Attraverso questi passi, Fiera Milano per esempio stima di arrivare quest’anno a vendere 1,8 milioni di metri quadrati, con ricavi superiori a 290 milioni e un margine operativo lordo di 27 milioni. Valori che vanno comparati con i 248 milioni maturati nel 2010 e con il fatturato previsto nel piano industriale per il 2012 pari a 348 milioni, con un margine operativo lordo di 43 milioni. Gli obiettivi di rafforzamento perseguiti da Milano, Bologna, Verona, Rimini implicano una semplificazione del settore, perché in un mercato cedente i big player ovviamente sottrarranno spazi ai più deboli. E gli enti locali, fondatori e tuttora padroni di quasi tutti i quartieri fieristici italiani, avranno assai più difficoltà che in passato a garantire ossigeno e voce all’economia del “territorio”.

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