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La Repubblica / Affari&finanza

Bollicine italiane, Dom Perignon sferra l’attacco ... L’azienda francese guida l’offensiva degli champagne per aumentare le vendite nel nostro paese, dove le previsioni parlano di consumi in ampia crescita per il settore delle bollicine. Una ‘verticale’ d’eccezione inaugura il nuovo corso... «E’ come lo yin e lo yang, la ricerca dell’equilibrio tra la struttura, il carattere del Pinot Noir e i profumi dello Chardonnay, l’unione perfetta che fa la trama dello Champagne. Questo ’96 rosé è un viaggio ai limiti del territorio di Dom Perignon. Un’altra espressione, caratterizzata da un raro equilibrio tra potenza e acidità. Frutto di un’annata ricca di contrasti». Richard Geoffrey, è lo chef de cave, il maestro di cantina del Dom Perignon: firma le bottiglie, dà l’impronta allo stile della maison, la casa, e con l’équipe di enologi da lui guidata individua le migliori uve di Chardonnay, Pinot Noir e Petit Meunier per poi assemblarle ad arte.
A Roma, per la prima volta, alla città del Gusto del Gambero Rosso guida una verticale di champagne rosati, una degustazione di annate eccellenti: dal ’96, quella appena messa in commercio, indietro, fino al 1966. Gli addetti ai lavori la vivono come un’esperienza unica del gusto. Ma per il mercato è un segnale inequivocabile: la maison francese ha sferrato il grande attacco all’Italia.
Non che questo marchio non sia noto e non venda nel nostro paese. E’ una delle griffe, etichetta di punta del gigante del lusso Lvmh, cui fanno Dior, Kenzo, Guerlain e tanti altri marchi top della moda. L’Italia, dicono i dati del Civc, Comité Interprofessionel du Vin de Champagne, è il quinto paese per export, ma sale al terzo per valore, che vuol dire che il nostro è un mercato che guarda alla qualità: «Si comprano le etichette più care, l’italiano è un consumatore con le idee molto chiare, un vero intenditore», racconta Domenico Avolio, direttore del Centro informazione Champagne, organo rappresentativo per l’Italia del Civc. E se in termini di bottiglie acquistate non si è ancora raggiunto il picco del 1999, in valore si è ampiamente superato quello che veniva considerato l’anno record a livello mondiale, che aveva coinciso con il boom delle start up tecnologiche. Spedizioni per 178,7 milioni di euro, per il 93% relative a etichette di grandi marchi. Il mercato è pronto, i palati raffinati, ma, dicono i dati diffusi da Coldiretti sui primi otto mesi dell’anno, gli champagne francesi costituiscono ancora una piccola quota nelle vendite complessive di bollicine nel nostro paese. E’ arrivato dunque il momento della grande svolta. Tanto più che, sempre secondo Coldiretti, le bollicine si bevono ormai sempre, non solo in concomitanza con feste e ricorrenze. E, secondo le rilevazioni dei Jeunes Restourateures fornite all’ultimo Vinitaly, i consumi avvengono soprattutto al bar e al ristorante, ovvero proprio dove margini di guadagno sono maggiori.
Le strategie di marketing sono specifiche, portano, come il prodotto, l’impronta di ogni maison. Dom Perignon ha scelto questa verticale per rinsaldare la sua presenza in Italia. Puntando su segmento di gran moda, le bollicine rosé. La bolla rosé, come l’ha ribattezzata Newsweek, scoppiata in Usa e rimbalzata in Europa, ha fatto lievitare le vendite anche nel nostro paese. Non c’è casa, italiana o francese, che non abbia un’etichetta rosé in portafoglio.
Il Dom Perignon, che ha inventato lo champagne nel XVII secolo, ha lanciato una linea specifica negli anni Sessanta. Rosa ramato con riflessi arancione chiaro, con sentori di frutta matura, quasi prugna che finisce verso accenti affumicati, quasi torbati: si parte con il 1996, dalla zona attorno a Epernay e Reims, l’unica autorizzata alla produzione dello champagne, al 42mo parallelo, ai limiti del territori autorizzati per i vini di qualità. Si discende verso atmosfere più miti, con la frutta glassata e le ciliegie del millesimato 1992. Portano ancora più a sud le note di fichi secchi e di scorze di arancia candite, completate da sfumature fumé, dell’anno 1990. Si arriva poi in paesi esotici con le note di mango e di spezie di oriente del 1978, un millesimato d’eccezione, nonostante l’annata non proprio felice, caratterizzata da aborto floreale e una resa piuttosto scarsa, con una vendemmia tardiva iniziata il 9 ottobre per il Pinot Nero e l’11 per lo Chardonnay. E si approda infine ai Caraibi con il millesimato 1966: dopo quarant’anni di vita è incredibilmente ancora fresco. Un vino che sa di rum.
(arretrato de La Repubblica - Affari&Finanza dell'8 gennaio 2007) 

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